Che i social media abbiano cambiato il mondo è cosa ormai assodata. Lo vediamo da tante piccole cose: i food bloggers hanno riscritto parte del galateo per cui oggi non è più buona educazione “cominciare a mangiare prima che tutti abbiano fotografato e condiviso sui social il proprio piatto”. Il più buono sarà quello che ha preso più like. Vestirsi non è più una questione di stile ma, stando ai fashion bloggers, una questione di scatto-acchiappa-like per cui il valore degli abbinamenti lo decide il numero di “mi piace” che riceverà la foto.
Prima dell’avvento dei social media, o lavoravi o cercavi lavoro. Oggi o lavori o fai l’Influencer. Non importa se hai un seguito di 100 o 100mila followers: tutti hanno il diritto di autoproclamarsi influencer senza dare troppo peso a quanti realmente sono in grado di influenzare.
E qui arriviamo al punto: in una società 2.0 in cui il valore individuale sembra essere il numero di followers e di likes, tutti, chi più chi meno, ricorrono ad aiutini per gonfiare i propri numeri cercando di apparire più influenti di quanto non siano realmente.
Io la chiamo “Pesce Palla strategy”. Ti gonfi per sembrare più grosso di quel che sei. Ma il pesce palla lo conosciamo tutti e, più che influenzarci, ci fa un po’ sorridere perché solo lui pensa di far paura a qualcuno.
E così, per fare come lui, chi desidera prendere la via veloce per apparire influente sui social, acquista nell’ordine:
Fake followers:
profili del tutto finti creati da algoritmi e rivenduti a migliaia per poche decine di dollari;
Likes:
gli stessi profili fake metteranno migliaia di like alle foto/video di chi paga per riceverli;
Servizi di automazione:
attraverso delle attività di follow/unfollow, like bombing e visualizzazioni delle instagram stories, chi usufruisce di questi servizi aumenta i numeri del proprio profilo senza che questo dipenda direttamente dalla qualità dei contenuti pubblicati o dalla strategia applicata.
Queste attività, col passare del tempo, hanno creato danni incalcolabili sia alle piattaforme social che vedono dirottare volumi di denaro per nulla indifferenti verso terze parti, sia a singoli e aziende che lavorano sulla propria crescita in modo organico, ossia senza ricorrere ad artifizi. Ecco che oggi, un seguito di 5mila followers reali, passa per un risultato poco soddisfacente, i soldi che dovrebbero entrare nelle casse delle piattaforme per promuovere i post con ADS a pagamento vanno invece a riempire quelle di chi vende followers e likes oppure ai finti influencers che, gonfi come il pesce palla, vendono post sul proprio profilo ad aziende che intendono promuoversi. Nemmeno a dirlo, il risultato di tali campagne è e sarà sempre ben al di sotto delle attese.
Infine, l’esperienza social, quella a cui tanto tengono Zuckerberg & Soci (mezzo mondo considerato il numero di shares di Facebook – e quindi Instagram e Whatsapp), perde completamente di appeal passando da interazione genuina tra utenti al nulla cosmico.
E’ notizia dello scorso novembre che Instagram ha dichiarato guerra a questo tipo di attività mettendo in campo le machine learning tools, strumenti di intelligenza artificiale in grado di individuare i comportamenti scorretti e di interromperli. Lo scorso febbraio, tra il 13 e il 14, le famigerate “machines” fecero la loro prima uscita ufficiale creando non poco scompiglio a livello mondiale. I followers finti per un giorno sparirono dai profili. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
Ad aprile escono le prime indiscrezioni relativamente alla rimozione dei like su Instagram: è possibile che nelle prossime versioni della app non si vedano più. “Vogliamo che i tuoi followers si concentrino su ciò che condividi, non su quanti like ottengono i tuoi post” – tuona Instagram in una preview che chi scrive ha potuto vedere.
Arriviamo quindi al 4 giugno con l’entrata in vigore del nuovo algoritmo, attualmente l’ultimo e il più difficile da interpretare anche per i più qualificati social media manager.
Impossible continuare a crescere con gli automatismi, acquistare followers è un terno al lotto poiché possono arrivare tutti, solo alcuni o nessuno e nei giorni successivi non sai mai se ci saranno ancora. Il prezzo dei like invece è cresciuto tantissimo perché per mandarli le procedure sono molto più complesse e i filtri di Instagram ne bloccano la maggior parte. Il mercato parallelo della notorietà a basso costo comincia fortemente a scricchiolare e i pesci palla cominciano a sgonfiarsi.
Nel mese di luglio, per chi credeva che Instagram scherzasse, arriva il colpo finale: via ai test in 7 paesi tra i quali l’Italia: una mattina ti svegli, guardi i profili dei tuoi idoli e non trovi più i like sulle foto. Non puoi metterli e non ne visualizzi il numero. Sta succedendo veramente e sta succedendo ora.
E’ una questione psicologica quella di mettere con più facilità un like su una foto che ne ha già migliaia, condizionati dal fatto che sia già stata apprezzata da molti prima di noi. Ma se questo numero non è visibile, ci si concentrerà sul valore del contenuto, la qualità della foto e il messaggio del testo che la accompagna così che questa abbia davvero la potenzialità di condizionare le scelte di acquisto di chi ci si imbatte.
Tutto questo, a detta di molti, sarà la tomba degli influencers che, senza poter sfoggiare i loro tanto impressionanti quanto finti numeri, perderanno appeal sul loro seguito. Finiti gli influencers finiranno anche le piattaforme su cui operano. Ma questo scenario è davvero realizzabile?
La posizione di chi scrive è che invece questo giro di vite sulle attività contrarie alla policy di Instagram non solo non danneggerà le ultrasensibili dinamiche, ma ci restituirà anche un network che di social non ha solo il nome ma anche la forma.
I finti influencers via via spariranno lasciando spazio a figure di riferimento in grado, prima ancora di influenzare, di informare e selezionare le migliori proposte sul mercato. Tutto in favore del mercato e della user experience.
Non essendoci alternative, gli investimenti di profili personali e brand saranno riservati quasi esclusivamente alla produzione di contenuti di qualità e alla promozione di questi ultimi attraverso l’advertising a pagamento offerto dalle piattaforme che li ospitano.
Felici gli utenti, che riceveranno informazioni mirate e con contenuti di qualità;
felici Zuckerberg, soci e azionisti che rimpingueranno le proprie casse;
felici gli influencers veri che trarranno benefici concreti dal loro lavoro;
felici i brand che intendono investire sugli influencer, questa volta con meno rischio di sbagliare;
felici i social media manager professionisti, che rimangono a tutti gli effetti l’ultimo asso nella manica per chi vuole crescere in modo organico indirizzando il proprio messaggio al mercato di riferimento.
E il pesce palla? Fortunatamente lui potrà continuare a gonfiarsi quando lo ritiene opportuno. Instagram non ne ha fatto – ancora – specifica menzione.