Da qualche anno la parola metaverso è entrata nel nostro dizionario. A questo ora si aggiunge quella di spazio virtuale. Due concetti da non confondere, ma parte della stessa rivoluzione che sembrerebbe in grado di dare una potente scossa alle nostre vite, seppur ancora agli albori. In questa precisa fase, sono nate figure in grado di inglobare lavori più tradizionali con nuove tecnologie. Sono gli architetti del metaverso.
L’esperimento a Milano
A Milano tre giovani architetti, tra i 25 e i 30 anni, oltre a svolgere il lavoro tradizionale di architetti, creano spazi tridimensionali su commissione di brand e aziende, in cui i clienti possano muoversi sia attraverso dei semplici clic, magari con un avatar, sia indossando un visore, e quindi con il proprio corpo. Il loro studio si chiama SesamoLab, ha un anno di vita, e loro sono Marco Angrisani, Leonardo Sollami e Marco Grattarola. Al progetto lavora anche Ginevra Turco, collaboratrice game developer.
La definizione migliore
Quando li incontriamo sono seduti a un tavolo di un bar a Milano. Non serve nemmeno fargli delle domande, continuano a discutere tra di loro su come possa essere definito quello su cui lavorano. Fanno mente locale per spiegare i passaggi dei loro progetti, li disegnano anche su un tovagliolo per renderlo più chiaro possibile. Ogni fase è fatta di diverse strade da percorrere in base all’obiettivo del committente. Quindi, prima di vedere nel dettaglio come viene costruito uno spazio virtuale, bisogna capire il perché.
L’obiettivo di creare spazi virtuali
Uno spazio virtuale può essere utilizzato come mezzo di comunicazione diretto. Le aziende che commissionano i progetti a Sesamo Lab lo fanno con l’intento di posizionarsi in un settore innovativo, fortemente tecnologico. O di raggiungere un pubblico più ampio.
Il nuovo spazio
Cosa succede una volta trovato un cliente? Il primo passo è il brief: «Noi apriamo le porte di uno spazio che nemmeno conoscono – spiegano -. Fare un progetto significa mettere insieme diverse esigenze e dare una risposta spaziale». Prima di tutto però, bisogna immaginarlo. Molti committenti si affidano a loro al cento per cento, non conoscendo i limiti del mezzo e non sapendo fino a dove possono spingersi. Che il mezzo sia nuovo lo si capisce anche da come hanno ottenuto il primo lavoro: «Abbiamo trovato un annuncio su una community nel metaverso. Era una banca araba che voleva realizzare un centro per le riunioni dove i dipendenti potessero entrare e vivere un’esperienza diversa dalla classica chiamata su Zoom. Noi abbiamo risposto e ottenuto il lavoro» raccontano.
Lo studio virtuale
Il secondo passo è quello di realizzare un progetto architettonico da trasformare poi in un modello tridimensionale. «Già dal primo incontro, invece della solita call, invitiamo il cliente all’interno del metaverso». Basta un link, e non bisogna per forza usare il visore. A seguire realizzano un concept, modellano lo spazio e pensano a funzioni e interazioni. Infine, la parte dell’allestimento: contenuti digitali, materiali e luci. Quello che ne esce è una sorta di cantiere virtuale dove il cliente può dare feedback e suggestioni prima della consegna finale.
Le richieste dei clienti
«Generalmente il committente ci chiede una di queste due cose: o un’esperienza virtuale da usare nel corso di un evento, fruibile dai presenti tramite visore, oppure uno spazio virtuale online, accessibile a chiunque tramite il metaverso». Le differenze sostanziali tra spazio virtuale e metaverso sono due: lo spazio virtuale è privato, il metaverso è pubblico e permette all’utente di muoversi liberamente. E poi, la realtà virtuale è più versatile: «Attualmente esistono diverse infrastrutture che ospitano il metaverso. Quella più famosa è di Meta-Facebook ma esistono anche Roblox, Spatial e Decentraland. Ognuna di queste ha delle regole da seguire (come la quantità e la qualità delle interazioni possibili, la quantità di persone che possono fruire lo spazio allo stesso momento, la quantità degli oggetti che vanno ad allestire lo spazio, e molto altro, ndr) Invece, realizzare un’app offline da caricare sul visore non ha limiti, se non quelli che scegliamo noi di imporre».
Progetti realizzati
Trattandosi di un mezzo nuovo, viene concesso un alto grado di libertà creativa, e lo confermano anche le loro esperienze: «La committenza si lascia guidare perché non sa come realizzarlo, quindi è difficile che modifichi drasticamente un nostro progetto». Al massimo può capitare di ricevere proposte strane. I proprietari della banca di Riyadh, che gli hanno commissionato il primo lavoro, non avevano alcun appunto da fare, se non che ci fossero almeno due cammelli che si aggiravano per la sala meeting. «All’inizio eravamo meno convinti dell’efficacia del concept – ammettono -. Adesso sappiamo che con l’approccio giusto si possono realizzare opere intelligenti e interessanti».
Sette progetti
In meno di un anno – sono partiti a giugno 2022 – con Sesamo Lab hanno realizzato sette progetti. Il primo è stato pensato come un centro per il ritrovo dei dipendenti della banca, da fruire per delle riunioni o delle presentazioni. Hanno realizzato una passerella che accompagna i dipendenti dall’ingresso alla sala e lungo la quale è possibile scoprire la storia dell’azienda. Il logo della banca arreda il pavimento, mentre la sua forma, un esagono, è stata utilizzata per creare la struttura esterna della sala meeting. «Quando l’evento finisce lo spazio rimane, e continuerà a raccontare la loro storia senza costi di manutenzione o energia» aggiungono i tre.
Le ultime sfide
Il progetto più recente, invece, lo hanno presentato a febbraio 2023 a Dubai. Si trattava di un’esperienza virtuale da vivere con il visore, presentata all’interno di una fiera. Il committente era un’azienda specializzata nella produzione di creme vegetali per cucinare: «Dovevamo trovare qualcosa in grado di far vivere al pubblico un’esperienza eccezionale. Molto difficile se il luogo di presentazione (Dubai, ndr) è un parco giochi urbano. Abbiamo quindi pensato di realizzare una navicella spaziale che entra nell’atmosfera terrestre e sorvola la città fino alla Tiffany Tower, la sede dell’azienda. Una volta entrata nella torre, inizia il gioco, un escamotage per far vedere tutti i brand del gruppo».
L’impatto sulla realtà
Tra i punti del manifesto di Sesamo Lab uno recita: «Sappiamo che ciò che viene realizzato nello spazio virtuale ha conseguenze in quello fisico». Esattamente come ciò che condividiamo sui social ha un impatto sulla nostra quotidianità: «Le esperienze virtuali che generiamo – spiegano – sono un ampliamento e non la sostituzione dell’esperienza fisica. Proprio perché sappiamo che i nostri spazi influenzano le persone che ne fruiscono, cerchiamo di avere particolare attenzione in quello che creiamo. Non vogliamo fare una copia del mondo reale, o meglio, se così dovesse essere, almeno che venga rotto qualche schema, magari qualche legge della fisica».