Sembrava uno scherzo, ma in pochi mesi il fenomeno è esploso: sui social e nelle piattaforme streaming dilagano brani musicali generati dall’intelligenza artificiale (Ai) con le voci clonate di cantanti famosi o di artisti scomparsi, come David Bowie, Freddy Mercury, Michael Jackson. Il primo hit a suscitare clamore è stato «Heart On My Sleeve»: sembrava un nuovo titolo del rapper canadese Drake, ma si è rivelato una fake song. Il brano generato dall’Ai, con la voce di Drake, era stato lanciato in aprile su TikTok dall’utente Ghostwriter977 ed è diventato virale con 230 mila ascolti su YouTube e 625 mila su Spotify. Finché l’artista ha minacciato azioni legali e la sua casa discografica, in maggio, è intervenuta per far sparire la canzone da Spotify, YouTube, Apple Music. Un mese dopo però la stessa canzone più una decina di altri brani creati da algoritmi con la voce di Drake erano in testa alla classifica Ai Hits. È un sito creato da Michael Sayman, informatico di 26 anni, che recensisce le 100 canzoni generate dall’Ai più ascoltate sul web, tra cui quelle con le voci clonate di star come Travis Scott o Rihanna. «Dobbiamo ingaggiare una battaglia per difendere il nostro capitale umano di fronte all’intelligenza artificiale», ha detto Sting ai microfoni della Bbc.
Tra condanna e curiosità
Ma i pareri nel mondo musicale sono contrastanti. Diversi artisti stanno sperimentando gli strumenti di intelligenza artificiale per creare nuove liriche o comporre più facilmente testi. «La rivoluzione portata dall’Ai generativa nella musica è paragonabile a quella di Napster, è la più importante dall’inizio del file sharing e del download — dice Enzo Mazza, ceo di Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana) —. Oggi l’industria musicale non intende opporsi, sta cercando di governare e integrare questa svolta tecnologica. Anche perché l’Ai generativa è ormai parte della produzione musicale. Chi usa un’app come Boomy può generare una base strumentale in pochi secondi sulla quale registrare una voce. Gli utenti hanno creato così 14,5 milioni di canzoni». BoomyAi ha generato già 14,5 milioni di canzoni. E Google Music ML da gennaio compone musiche sulla base di testi e imita voci di artisti; OpenAi Jukebo, l’equivalente di ChatGpt per la musica, introdotto il 30 aprile, genera su domanda brani musicali di tutti gli stili; SongStarter di BandLab permette di generare uno strumentale basandosi su testi ed emoji. E Reactional Music, nata per le musiche dei videogame, genera composizioni dal data set di un artista.
Le tendenze dei giovani
La Generazione Z, che aveva fatto esplodere il consumo di musica in streaming (cresciuto in Italia ancora del 16 % nei primi sei mesi di quest’anno), ama non solo condividere, ma anche inventare nuovi mix musicali. Da un sondaggio condotto quest’estate da Fimi con Giffoni Innovation hub e Città della Musica di Napoli, su quasi 3 mila utenti di cui il 70% sotto i 34 anni, emergono nuove attitudini. Alla domanda «Utilizzeresti l’Ai per creare musica?», il 10% degli under 34 risponde di averlo già fatto. Il 37% pensa che in futuro gli artisti saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale, benché a discapito della creatività. E un altro 20% segue abitualmente i concerti nel metaverso. «Per i giovani la musica è un’esperienza dinamica, i concerti virtuali offrono più partecipazione e interazione con gli artisti — dice Matteo Camarada, 21 anni, reporter nel metaverso per SecondStar —. E l’Ai è un’opportunità per democratizzare l’accesso alla creazione musicale». Una minaccia per il business? Universal Music ha chiesto a Spotify di rimuovere migliaia di canzoni generate da Boomy e introdotte dagli utenti, perchè usavano campionature di brani musicali coperti da diritto d’autore.
I possibili scenari
Il fenomeno però è difficile da arginare di fronte all’ondata di brani prodotti dai tool di Ai generativa introdotti quest’anno. «Il problema è a monte, perché gli sviluppatori di Ai per addestrare gli algoritmi usano illecitamente un vastissimo repertorio di musica coperta da diritti d’autore», dice Luca Vespignani, ceo di Dcp (Digital content protection) che controlla le violazioni di copyright online. Soluzioni? «Prima di tutto la trasparenza: i consumatori devono poter distinguere i contenuti originati dall’Ai, che vanno segnalati come tali— dice Mazza —. E le opere che non vengono dall’intelletto umano non devono avere copyright né sfruttamento commerciale. Poi bisogna usare i metadati, i codici che indicano l’origine e i diritti di ogni creazione musicale». Da agosto, scrive il Financial Times, Universal Music e Warner hanno avviato trattative con Google e OpenAi. Dice Vespignani: «L’obiettivo è concedere in licenza l’uso dei repertori coperti dai diritti per l’addestramento dei sistemi di Ai. Ma serve la collaborazione delle piattaforme streaming per rimuovere brani non autorizzati e impedire ai sistemi di Ai di sfruttare la musica online». Un primo accordo c’è: è del 6 settembre, tra Universal Music e Deezer. Lo streaming service premierà gli artisti professionisti: chi ha oltre mille ascolti al mese sarà pagato il doppio.