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Seguo da anni Mario García, uno dei più famosi newspaper designer a livello mondiale, che tra l’altro impersona al meglio il sogno americano: arrivato ragazzetto profugo cubano in Florida, senza sapere una parola di inglese, è diventato giornalista e poi visual designer, fino a progettare quotidiani su tutte le piattaforme e a insegnarlo alla scuola di giornalismo della Columbia University.
Ha vissuto tutta intera la trasformazione dei giornali, dalla composizione tipografica al digitale: ha portato il colore sulle pagine di serissimi quotidiani come il Wall Street Journal e il tedesco Die Zeit; ne ha ridotto il formato senza farli assomigliare a giornaletti scandalistici, anzi; ha dato al Washington Post la veste attuale; ha realizzato le edizioni digitali di tanti giornali in tutto il mondo.

“Visual journalism: a way to encourage reading, a way to bring visual excitement to the pages of newspapers that had traditionally being long masses of grey text.”

E infatti il primo volume della sua nuova trilogia The Story, si intitola Transformation. Il secondo, decisamente più interessante e attuale, Storytelling (l’edizione per Kindle costa solo 5 euro). In attesa del terzo dedicato al design, ho letto entrambi, non paga di leggermi da anni i suoi post.
Seguo così assiduamente un designer di quotidiani soprattutto perché:

  • i grandi quotidiani come quelli che chiamano come consulente Mario García hanno le risorse per sperimentare tanto e fare le cose in grande: le loro soluzioni sono di ispirazione per chiunque scriva online, qualsiasi cosa
  • l’industria dei quotidiani lotta da anni per trovare il modo per farsi leggere, coltivare e aumentare i loro abbonati: se trovano il modo di concentrare testi lunghi e complessi sulle superfici più piccole, possiamo rubare idee anche per siti e blog
  • il nostro designer cubano-statunitense è generoso e ciarliero, ci racconta e ci fa vedere un sacco di cose interessanti.

The Story, impaginato come le schermate di uno smartphone, ma con font classiche e persino vintage (Bembo per il testo, Deutsche Gothic per i titoli), è un inno alla storia, anzi alle buone storie, che sono alla base di qualsiasi pezzo giornalistico, su qualsiasi medium. Quello che rende i libri così interessanti sono le soluzioni che Garcia ha individuato per rendere gli articoli, soprattutto i più lunghi, leggibilissimi sui pochi centimetri quadrati dei nostri telefoni.

“If we have a good story the rest is easy.”

Oggi le storie possono avere le “gambe corte”: una breaking news breve e veloce sul sito, poche righe sui social, ma immediati, e finisce lì. O possono avere le “gambe lunghe” e prestarsi ad approfondimenti e dossier da pubblicare anche a una certa distanza di tempo, come quelli ricchissimi del New York Times o del Washington Post. In entrambi i casi però, i testi devono considerare il nuovo “giornalismo delle interruzioni”, consumato ovunque, tutto il tempo da circa l’80% della popolazione mondiale che li legge sul telefono. Legge, sì, legge, perché nonostante tutto ci stiamo abituando a leggere sul minischermo anche testi lunghissimi.

“The smartphone, the smallest platform, but the one your audience keeps as a constant companion.”

Il 98% delle persone tiene lo schermo verticale: scrolling surclassa swiping. Per questo García propone per i testi una “nuova linearità”, che asseconda la velocità con la quale il nostro pollice fa avanzare i contenuti sullo schermo. Una linearità fatta di un ritmico alternarsi di brevi paragrafi di testo, immagini, didascalie, video, grafici, citazioni, caption, sottotitoli. Se ben orchestrati, ci permettono di reggere/leggere con agio e leggerezza testi di parecchie decine di migliaia di caratteri. I grandi quotidiani gli hanno dato retta e i dati sulla lettura danno loro ragione.

Sulla stampa spaziamo con gli occhi, cogliendo il contesto del “paesaggio” testuale; sullo smartphone siamo concentrati sullo scrolling e il ritmo si gioca tutto in quel nastro stretto di parole e immagini.

Quali storie sono le più adatte allo srotolamento e come devono essere progettate per catturare e tenere incollato il lettore?
1. Devono avere un forte potenziale visivo, da esprimere attraverso foto, video, grafici, citazioni, screenshot. Come la famosissima storia del crollo del Ponte Morandi del New York Times (anche in italiano):

Quanti elementi visuali? Tra i 5 e i 6. I video non devono superare i 30 secondi.
E si possono mescolare foto e video? Sì, ma il meno possibile.
Attenzione: se si inserisce uno screenshot da un social, per esempio un tweet, questo non deve ripetere cose già dette nel testo. Anzi, bando a tutte le ripetizioni: ogni elemento deve essere unico e far progredire la storia.
2. Titoli e sottotitoli sono fondamentali per spingere chi legge sempre avanti: tra evocazione e descrizione, ma mai criptici. Per riuscirci, ci può aiutare il sottotitolo:

3. Il testo deve essere semplice: paragrafi brevi, ognuno un focus; periodi brevi, perché la colonna di testo stretta li fa sembrare ancora più lunghi. La ricchezza del contenuto e dello stile è affidata al lessico e all’integrazione tra testo e visual.

“In the mobile world, it is not just that less is best, less is the only way.”

4. L’incipit è decisivo: meglio piombare nella storia “in medias res”, per inchiodare chi legge a scoprire come si è arrivati fin lì o cosa sta per succedere, come nel lungo reportage del New York Times dedicato alla caduta di Aleppo in Siria:

5. Le didascalie sono fondamentali: raccordano testo e immagini, costituiscono un punto di ingresso in più, veicolano messaggi importanti. “I’m only going for the things that I’m passionate about” dice questa intima Nicole Kidman in bianco e nero in didascalia. Continuiamo a leggere per sapere quali sono queste cose che tanto la appassionano.

6. La fine del paragrafo annuncia o si riferisce all’immagine che viene dopo:

7. I vuoti sono spazi espressivi:

Insomma, la vera interazione è sempre più quella tra il nostro pollice e lo schermo che si srotola. Vi ricordate The Snow Fall? Il grandioso web-documentario del New York Times che nel 2012 fece incetta di premi e vinse anche un Pulitzer? Era ben scritto, ma pieno di link ed effetti speciali: nonostante i premi e l’indubbia qualità, ben pochi lo lessero per intero.
Invece ora un’altra storia vera di un salvataggio dopo una valanga, costruita con la linearità raccomandata da Mario García, ci tiene incollati allo smartphone. Io per leggerla ci ho messo una mezz’oretta, sempre col fiato sospeso, ma sono arrivata in fondo senza accorgermene: è Five Feet Under, pubblicata dal quotidiano norvegese Bergens Tidende (in inglese):

PS In The Story, Storytelling, ci sono anche due ottimi capitoli dedicati alle notifiche push (al NYT ci lavorano ben 11 persone) e alle newsletter.
PPSS Sono abbonata al NYT da qualche mese: mi è stato utilissimo per un lavoro che ho fatto quest’anno ma continuo a leggerlo con profitto e piacere tanti sono gli spunti e le soluzioni che ne traggo.

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