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Una ricerca italiana racconta approcci, metodi e standard nella rendicontazione degli aspetti non finanziari utilizzati dalle aziende nell’attività di rendicontazione ESG, anche al fine di rendersi più appetibili sul mercato, e illustra la percezione dei cittadini riguardo alle scelte “green” (vere o presunte) delle aziende: il 70 % delle società che pubblicano bilanci di sostenibilità convalidati da una società di certificazione hanno indicato che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, e solo il 25,00% del campione ha affermato di essersi sottoposta a uno specifico audit svolto in azienda.

Anche per questo il grado di fiducia da parte della cittadinanza verso le aziende è basso/bassissimo per il 64%, e per molti cittadini (45%) le aziende utilizzino il tema della sostenibilità principalmente per motivi pubblicitari e di marketing.

Lo scenario competitivo mondiale è caratterizzato dalla circolazione sempre più libera di persone, beni e capitali, filiere di fornitura lunghe e frammentate su scala globale e uno spazio geografico degli scambi e degli investimenti sempre più ampio, con una crescente esposizione ai rischi: cresce quindi la domanda di informazioni credibili e affidabili sulla reputazione delle imprese, non solo limitate al profilo generale e organizzativo, ai prodotti o servizi e ai relativi prezzi, ma anche relative ai rischi di impatti avversi futuri sull’impresa e i suoi stakeholder ea un’ampia gamma di aspetti di natura non finanziaria (governance, diritti umani e condizioni di lavoro, sicurezza, ambiente ed etica di business) denominati sempre più frequentemente “rischi ESG” (Environment, Social, Governance).

Su queste premesse è nato un ambizioso progetto di indagine, promosso dall’On. Tiziana Beghin, Deputata al Parlamento Europeo (Non Iscritti) e realizzato da un team di ricerca al 100% italiano e in larga parte al femminile – sono donne 4 ricercatrici del gruppo su 5, coordinate dalla Dott. sa Giorgia Grandoni. “Scopo del progetto – ha dichiarato Luca Poma, Professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, referente scientifico dell’indagine – è di fotografare lo stato dell’arte su questi argomenti, al fine di intercettare punti di forza e di debolezza delle prassi attualmente messe in campo dalle aziende nell’attività di rendicontazione non finanziaria ed ESG, e nel contempo per favorire – stimolando un dibattito centrato sull’analisi dei risultati della ricerca – un miglioramento della qualità informativa di questa forma di rendicontazione, riflettendo anche sulla percezione che i cittadini hanno delle scelte green delle aziende. Il lavoro si innesta, infatti, nello sforzo sostenuto dall’Unione Europea di promuovere una cultura della sostenibilità non solo tra cittadine e cittadini comunitari ma anche conclude il docente – all’interno delle PMI e dei grandi gruppi aziendali.

Dalla ricerca emerge come il 70% delle aziende con bilanci di sostenibilità convalidati da una società di certificazione abbiano indicato che il lavoro di quest’ultima si è basato solo sull’analisi di documenti ed evidenze auto-prodotte dall’azienda stessa: questo espone le valutazioni a una serie di criticità dal punto di vista formale come anche sostanziale, in quanto parrebbe non esservi stato alcun audit da parte di uno specialista che abbia verificato la genuinità e veridicità delle affermazioni ed evidenze prodotte (solo il 25,00% del campione ha affermato di essersi sottoposta a uno specifico audit svolto di persona in azienda). Criticità di questo tipo si incrociano con i dati rilevati dall’analisi svolta sulla percezione della cittadinanza, in cui emerge – come ovvia conseguenza – che il grado di fiducia nelle dichiarazioni di sostenibilità da parte delle aziende risulta tra il basso (44,44%) e il bassissimo (19,55%) e che una parte significativa di cittadini ritiene che le aziende utilizzino il tema della sostenibilità più che altro per motivi pubblicitari e di marketing (45,47%) e non per genuino interesse. “I dati emersi dalla ricerca sono preoccupanti – ha commentato l’On. Beghin – sia perché l’assenza di norme stringenti sull’attribuzione dei rating ESG e la conseguente facilità con la quale vengono rilasciati rischia di svilire l’impegno delle tante aziende davvero virtuose, sia perché evidenziano una crescente crisi di sfiducia da parte dei cittadini UE”.

Nel corso dell’evento tenuto al Parlamento Europeo di Bruxelles si è presentata la ricerca, con un talk tra il team di ricercatori e alcuni specialisti e accademici di chiara fama, durante il quale si è analizzato lo stato dell’arte sul tema della rendicontazione non finanziaria e della percezione della cittadinanza sulle scelte green delle aziende, dibattendo sulle migliori prassi in materia e concludendo con alcune preziose raccomandazioni al Legislatore, utili per stimolare possibili interventi indirizzati al miglioramento di questi aspetti di stringente attualità per la vita delle aziende nello spazio economico Europeo.

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