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Era il suo giorno e lui non si è negato. Nell’aula assise del tribunale di Cuneo Alberto Bertone, il “signor Sant’Anna”, ha parlato a lungo di tutti gli aspetti connessi alla vicenda per cui è imputato di diffamazione e turbata libertà del commercio, insieme al suo direttore commerciale, Luca Cheri.

Un fiume in piena, verrebbe da dire, con un’analogia appropriata alla “guerra dell’acqua” che si sta combattendo tra il colosso di Vinadio e i concorrenti di Paesana, la Fonti Alta Valle Po della famiglia Rivoira, titolare del marchio Acqua Eva. Da “radio gazzosa”, come Bertone definisce il chiacchiericcio tra i produttori di acque minerali, lo scontro è giunto nelle aule di tribunale. È un’ostilità che arriva da lontano, ben prima della denuncia presentata dai Rivoira nel 2018, dopo la scoperta di una fantomatica testata giornalistica (“Mercato Alimentare”) che riportava informazioni delicate: si parlava di un’imminente acquisizione del marchio Eva da parte della catena Lidl. Un sassolino che avrebbe provocato una valanga, secondo la parte civile. A testimonianza di questo si sono portate mail, telefonate, perfino gli audio delle conversazioni registrate tra il direttore commerciale di Acqua Eva, Emanuele Pacetta, e lo scaffalista di un punto vendita Coop toscano. Al manager, che si era finto un normale cliente, l’addetto aveva risposto che Acqua Eva non veniva più venduta “perché l’ha comprata Lidl”.

Dietro al famigerato sito, registrato a nome della sua defunta nonna, c’era un 22enne neodipendente di Bertone, Davide Moscato. E dietro a Moscato – che ha già definito la questione con la giustizia – secondo le accuse c’erano Cheri e lo stesso Bertone. Il quale non ha negato le pressioni sul suo collaboratore, provate del resto dai messaggi via Whatsapp. Ma lo scopo, ha precisato, non era certo quello di creare un danno economico: “È assurdo pensarlo. Un link mandato a una sola persona [Luciano Villani, category manager di Coop Italia, ndr] non poteva creare nessun danno”. Ma allora, qual era il senso di tutto? Una ripicca, visto che gli agenti di Acqua Eva – secondo l’imputato – avrebbero approfittato di un problema di produzione nello stabilimento di Vinadio, per far circolare voci malevole su Sant’Anna: “Parlavano di ‘acqua che puzza’. Volevamo mettere in soggezione anche loro”. L’idea sarebbe nata durante un pranzo di lavoro fra Bertone, Cheri e Moscato, a suggerirla sarebbe stato proprio quest’ultimo: “L’avevo conosciuto in università, era un ragazzo sveglio che faceva molte domande sul commercio online. In quell’occasione disse che poteva cercare documentazione su Eva e Lidl e realizzare un link”.

Un sito non indicizzato, inaccessibile a chiunque non avesse ricevuto un link diretto. Alla fine l’“operazione” si fece, sebbene l’avvocato di Sant’Anna l’avesse sconsigliata: “Non ho partecipato alla redazione dell’articolo e non ho nemmeno aperto la bozza che mi inviò Moscato via mail” assicura Bertone, sostenendo quindi di non sapere cosa fosse stato davvero scritto. Era solo gossip, dice, nulla di cui “radio gazzosa” non fosse già a conoscenza: “Bastava girare nei supermercati: non trovavi Eva da nessuna parte, la trovavi solo in Lidl e anche con una presenza massiccia”. E l’idea che alcune coop abbiano troncato i rapporti con Eva, dato che si diceva fosse stata acquistata da una catena di supermercati concorrenti? “È una barzelletta, può crederci solo chi non fa questo mestiere”. Idem per quanto riguarda la mancata acquisizione di una partecipazione societaria in Acqua Eva da parte di Red Circle, la finanziaria di Renzo Rosso“Il problema reale è che erano distanti sul prezzo: il gruppo Rosso lo valutava 25 milioni, i Rivoira chiedevano 40 milioni. Inoltre non c’era la titolarità del marchio nei mercati esteri”.

Non era stata solo la faccenda dell’“acqua che puzza” a far saltare la mosca al naso al patron di Sant’Anna, in realtà. Nella compagine di Eva, ai primordi, ci sarebbe dovuto essere proprio Bertone. Poi l’affare andò a monte, arrivarono i Rivoira e Sant’Anna ne subì l’agguerrita concorrenza, soprattutto in termini di organico: da Vinadio erano usciti l’allora direttore commerciale e vari responsabili. “È la prima volta nella storia delle acque minerali che qualcuno nasce cercando di distruggere un altro: ero disperato, quando mi sono trovato senza direttore commerciale e senza l’intera struttura” lamenta Bertone ancora adesso, dopo più di dieci anni: “Gli avevano promesso mari e monti, sicuramente c’era qualcosa di mezzo: altrimenti non sarebbero passati da un’azienda leader di mercato a gente che, con tutto il rispetto, vende frutta e verdura”. Altri argomenti buoni per “radio gazzosa”.

Ben più tangibile è la questione dei danni, stimati dalla parte civile in 10 milioni e 40mila euro per i mancati ricavi e le perdite di profitti, più altri 3 milioni e 184mila euro solo per i danni alla reputazione. “Oggi la reputazione equivale a soldi, non è più solo un parlar bene o male di qualcuno” spiega il professor Luca Poma, docente di reputation management, con un riferimento all’affaire Chiara Ferragni, sulla bocca di tutti in questi giorni e oggetto di attenzioni anche nella Procura di Cuneo. Calcoli sbagliati, ribattono i consulenti di difesa, ammesso e non concesso che un danno ci sia stato: “Un gossip non può influenzare le scelte assortimentali della grande distribuzione”. Se ne riparlerà tirando le fila del processo, nel frattempo è in programma per il 7 marzo prossimo l’audizione dei testi rimanenti.

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