Rating ESG e lotta al greenwashing, il Parlamento europeo discute il nuovo regolamento
Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma: "Uno strumento fondamentale per proteggere gli investitori"
Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma: "Uno strumento fondamentale per proteggere gli investitori"
A Bruxelles si discute la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull’integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (ESG), messo recentemente a punto dalla Commissione europea.
“Il consiglio europeo ha approvato il mandato negoziale e dato il via libera per iniziare i negoziati interistituzionali informali senza bisogno di passare dall’assemblea plenaria. Lo scopo è cercare di licenziare il provvedimento già in questa legislatura“, spiega a Teleborsa, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, aggiungendo che gli europarlamentari si sono incontrati lo scorso 11 gennaio, oggi, 23 gennaio, e si riuniranno ancora a fine mese. “Dal trilogo uscirà un accordo in prima lettura che potrà essere già ratificato dal parlamento europeo”, aggiunge il Professore.
Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating ESG è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa. Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri ESG.
In particolare, i rating ESG sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento – sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.
“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, afferma Poma, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.
Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating ESG, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.
Un passo importante nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’UE. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG a adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma – c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.
Come combattere il greenwashing?
Sicuramente le nuove direttive Europee (quella sul greenwashing e quella sui rating ESG) daranno un contributo, ma l’arma più potente contro il greenwashing è il comprendere, da parte delle aziende, che costa molto meno (e fa guadagnare più soldi) comunicare in modo schietto e autentico, invece che tentare di manipolare i cittadini con comunicazione ingannevole, sottolinea Poma. Questo lo conferma tutta la letteratura scientifica in materia (teoria) come anche i case study concreti (pratica). Manipolare il mercato alla lunga espone a gravi rischi, pregiudica la reputazione, orienta negativamente i comportamenti di acquisto delle persone, che – deluse – comprano altri prodotti e distrugge valore. Per una volta possiamo dire convintamente che essere onesti costa meno e rende di più.
Come si può migliorare il regolamento europeo?
Il nuovo regolamento UE sugli ESG, spiega Poma, sta venendo discusso in questo periodo in Parlamento, e i rating ESG (Enviromental, Social and Governance) sono state praterie fertili per il greenwashing, se consideriamo che da una ricerca per la quale ho curato il coordinamento scientifico, finanziata proprio dal Parlamento Europeo, è emerso che circa il 70% delle “certificazioni” ESG sono emesse solo sulla base di validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, senza alcuna verifica della veridicità delle loro affermazioni. Il nuovo regolamento mira a fare ordine tra le agenzie e società che rilasciano questi preziosi “bollini”, che sono ormai indispensabili per partecipare a qualunque gara come fornitori di prodotti o servizi in Europa: la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’UE) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa, e questo è un forte limite. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating ESG e delle relative agenzie che le hanno certificare, e questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating ESG ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma, c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare, conclude Poma.