image_pdfVersione PDFimage_printStampa

Lo sport è uno straordinario mezzo attraverso il quale si possono comunicare valori e messaggi. Con l’evoluzione dello sport-business e la trasformazione di molte associazioni sportive in società per azioni, sono state anche introdotte molte attività di Csr, responsabilità sociale d’impresa, e tra queste la redazione dei bilanci sociali e di missione. Nelle scorse settimane, nel panorama sportivo nazionale si è distinto un progetto dedicato a un atleta che ha inserito la responsabilità sociale d’impresa in tutte le proprie azioni di marketing e comunicazione; lo scorso 14 gennaio infatti, Emmanuele Macaluso (aka “EM314”) ha pubblicato il bilancio sociale e di missione, diventando il primo singolo atleta a farlo nella storia dello sport italiano, iniziativa che ha spinto diverse testate giornalistiche ad indicarlo come “l’atleta più green d’Italia”.

Oltre ad essere un atleta professionista che corre in Mtb, Emmanuele Macaluso è anche autore del Manifesto del marketing etico.

EM314 per la sostenibilità, Emmanuele Macaluso
Emmanuele Macaluso, l’atleta più sostenibile d’Italia © EM314

Emmanuele Macaluso, perché “EM314”?

Nello sport, soprattutto quello su due ruote, capita spesso che le proprie iniziali e il numero di gara scelto dall’atleta diventino il “logo” di un atleta. “EM” sono le mie iniziali, il “314” è stato il mio numero di gara nella competizione che ha chiuso la mia prima fase della carriera professionistica nello sport nel 2009. Quando ho deciso di rientrare in questo mondo, ho voluto dare continuità scegliendo il numero che mi aveva accompagnato in quell’ultima gara. EM314 è quindi il mio alter ego sportivo.

Come mai la scelta di inserire pratiche di Csr in un progetto sportivo?

Da quando nel 2011 ho pubblicato il Manifesto del marketing etico ho inserito la Csr in tutti i progetti che ho creato o che ho gestito direttamente: i vantaggi reputazionali e sociali derivanti dal far conoscere e spiegare le proprie iniziative di responsabilità sociale sono evidenti, senza contare il possibile “effetto emulazione”, la speranza che altri decidano di attivarsi socialmente, su cause in linea con la loro personale sensibilità, è una parte dell’equazione. La necessità di maggiore trasparenza coinvolge un numero sempre crescente di persone e organizzazioni, ma è ancor più necessario nell’ambito dello sport, dove il concetto di “valore” è davvero fondamentale.

Per questa azione, alcuni organi di stampa ti hanno definito l’atleta più green d’Italia.

Sì, e devo ammettere che la cosa mi ha anche sorpreso, quando l’ufficio stampa che ha lanciato il comunicato ci ha inviato la rassegna stampa sono rimasto molto colpito. Da una ricerca è emerso che nessun singolo atleta aveva mai prodotto un bilancio sociale e di missione, mentre invece alcune società, in primis quelle quotate in borsa, lo pubblicano regolarmente. Io e i ragazzi con i quali collaboro siamo molto fieri di questo risultato, nello sport si raccolgono anche quelli extrasportivi, e l’idea che altri singoli atleti possano affiancarsi in questo senso, mi stimola assai. Alla fine un atleta professionista “muove” decine di persone, non è altro che una piccola azienda, e non si comprende quindi perché non dovrebbe rendicontare ai suoi stakeholder.

In che modo un progetto come questo può considerarsi “green”?

La disciplina che ho scelto è verde per antonomasia, il cross country (Mtb) si svolge in montagna e tutti gli atleti sono impegnati nella massima riduzione della propria impronta sul Pianeta. Anche i prodotti che utilizziamo per la manutenzione dei mezzi sono a basso impatto ambientale, se non addirittura nullo. Poi ci sono i valori fondanti dello sport, che si basano sulla lealtà verso gli altri e certamente anche verso l’ambiente. La stessa Uci (Unione ciclistica internazionale) ha creato dei protocolli ambientali stringenti: non possiamo abbandonare neppure le borracce o gli incartamenti dei gel o degli alimenti dopo l’uso, giustamente, ma dobbiamo portarli con noi al traguardo, e anche quelli sono biodegradabili. Per quanto riguarda EM314 poi, in qualità di testimonial/ambassador, supporto e do visibilità a quattro campagne sociali: “Giù le mani dai bambini” Onlus, la più importante campagna di farmacovigilanza contro l’abuso di psicofarmaci sui minori; “Mission dark sky”, campagna globale sull’inquinamento luminoso e sulle ricadute di questo su salute umana, flora e fauna; “Io rispetto il ciclista”, la campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale; “Manifesto dello sport”, il documento programmatico dedicato allo sport, agli atleti e alle ricadute sociali del movimento.

In che modo la responsabilità sociale e ambientale dovrebbe entrare a far parte dello sport a tutti i livelli?

L’industria dello sport è molto complessa e articolata e si basa su una filiera molto complessa. Però l’asticella del professionismo viene schiacciata sempre più verso la base della piramide: ci sono talenti molto giovani che diventano ambassador di aziende in modo individuale attraverso i propri canali social o prestando l’immagine per gli sponsor della squadra, spesso con la liberatoria firmata da mamma e papà. A tutti gli effetti, avere a che fare con lo sport business è un’attività professionale, che coinvolge molte realtà e dove comunicare non vuole dire solo creare consenso, ma generare coinvolgimento: i destinatari delle campagne comunicative sono fan nel vero senso della parola, e lo sport, proprio per le sue dinamiche di comunicazione, aiuta i protagonisti a creare comunità. Con EM314, a un anno circa dalla presentazione del progetto siamo a oltre 22mila fan sui social (senza l’utilizzo di servizi a pagamento) e più di 250 articoli di stampa. Tuttavia, al di là dei numeri, ci sono grandi responsabilità di cui bisogna tener conto: l’atleta è un modello per definizione e in un ambito come quello sportivo i valori creano quel legame necessario a supportare un progetto tecnico e imprenditoriale da parte degli stakeholder. Spesso alcune sponsorizzazioni nascono proprio per progetti di Csr congiunti tra più aziende, dei quali l’atleta diventa il protagonista; ormai molte realtà imprenditoriali hanno compreso il valore reputazionale della responsabilità sociale nello sport, al punto – in questo florilegio di proposte – da dover stare attenti a non essere coinvolti in attività di greenwashing.

Quali i prossimi obiettivi?

Oltre al debutto e alle performance sportive, lavoreremo tantissimo sulla comunicazione per allargare il bacino di fan e condividere con loro i nostri valori. Quando le condizioni sanitarie dovute all’emergenza Covid-19 lo permetteranno, molte iniziative passeranno dal mondo digitale a quello reale. Cercheremo di dare sempre visibilità alle campagne che sosteniamo, magari partecipando a progetti di comunicazione e divulgazione nel momento in cui ci saranno proposte. Per il resto, continueremo a redigere e pubblicare il bilancio di missione, e ad attuare buone prassi di sostenibilità. Abbiamo molto da fare e lo faremo. In fondo, se c’è una cosa che sappiamo far bene, è correre, in bici come nella vita.

image_pdfVersione PDFimage_printStampa