SALVINI PREMIER? CAMBIA LA COMUNICAZIONE POLITICA, DAL PAPEETE BEACH ALLA PALESTRA PER PALAZZO CHIGI
Cosa c'è dietro l'ennesima "giravolta" nello stile del leader leghista? Una analisi sulla comunicazione politica di Matteo Salvini.
Cosa c'è dietro l'ennesima "giravolta" nello stile del leader leghista? Una analisi sulla comunicazione politica di Matteo Salvini.
Tempo fa, in un articolo a firma mia e di Giorgia Grandoni, avevo analizzato i vari motivi alla base della scarsa credibilità della classe politica italiana, riconducibili all’assoluta carenza di autenticità nei messaggi e alla narrazione istericamente contraddittoria, finalizzata esclusivamente alla raccolta di consensi a breve termine e attenta – in particolare – al sentiment del momento espresso dai cittadini sui Social, piuttosto che alla costruzione di un’idea di Nazione peculiare, da coltivare e realizzare con costanza e congruenza nel medio-lungo termine.
Al di la di ogni valutazione di tipo “partitico”, scrivevo che – tecnicamente, sotto il profilo della gestione della reputazione – tutto ciò non può che generare un’inevitabile crisi sistemica del mondo della politica: infatti, al di la delle legittime preferenze di ognuno di noi, l’appeal dei brand politici sull’elettore medio è oggi più basso che mai.
Mentre le aziende corrono velocemente sul sentiero da tempo tracciato dell’enfatizzazione virtuosa dei propri valori, i leader politici, e le loro strategie, sembrano poggiare su messaggi e su declinazione di valori che cambiano a ritmo giornaliero, mutando continuamente in base a specifiche convenienze.
La politica, nel tentativo di accaparrarsi facili consensi, è vittima di una malattia che in un’intervista all’Harvard Business Review l’economista Stefano Zamagni definì, in modo assai centrato, come “shortermismo”: lo riscontriamo nel pericoloso calo di adesione e di protagonismo dei cittadini alla vita pubblica, con una percentuale di astensionismo che ha raggiunto nuovi record (oltre 21,5 milioni di persone in Italia in occasione delle ultime elezioni europee hanno scelto di non esercitare il proprio diritto al voto). Tra chi non si reca alle urne per protesta, e chi perché non si sente rappresentato adeguatamente dalle varie proposte politiche, il gap tra cittadini e gli uomini politici si fa più ampio che mai.
Anche nel resto dell’Europa, le eccezioni sono poche: brilla ad esempio l’inossidabile cancelliera tedesca Angela Merkel, vera case-history di eccellenza nella gestione della comunicazione durante l’emergenza pandemica e campione di chiarezza e di sobrietà; oppure, allargando lo sguardo fin dall’altra parte del globo, Jacinda Ardem, l’amato e rispettato Primo Ministro della Nuova Zelanda (nuovamente una donna, sarà un caso?) la cui storia ho brevemente raccontato in un’altra mia recente analisi.
Come sappiamo, la reputazione è un asset importante – il più prezioso tra quelli “immateriali” – che si costruisce assieme ai propri pubblici, per durare nel tempo, ed essere poi “scambiata” con una sempre più ampia licenza di operare: la scelta dei politici nostrani di ignorare sistematicamente questa realtà sta scavando un solco sempre più grande tra sistema politico italiano e la cittadinanza, danneggiando il primo – riducendone, tra l’altro, potenzialità ed efficacia – e disilludendo i secondi.
Autenticità, coerenza, comunicazione di valori conformi alla propria identità, creazione di strategie di brand reputation a medio-lungo termine (sia che si tratti di aziende che di istituzioni pubbliche o influencer politici), capacità di saper prevenire scenari futuri di crisi reputazionale e, infine, propensione ad assumersi le proprie responsabilità: queste sono sei tra le principali best practices da seguire per tutelare al meglio la propria reputazione, e questo è ciò che la politica italiana può – e dovrebbe – imparare dal Reputation management aziendale.
I politici nostrani, invece, non godono certo di una buona reputazione, una realtà non solo riscontrabile da un’analisi empirica, ma assodata, in quanto documentata e misurata: coinvolti in quella che appare come una campagna elettorale permanente, i politici disilludono il pubblico, tentando ridicoli equilibrismi tra alleanze improbabili e la scelta di abbracciare oggi ciò che solo ieri si criticava aspramente, o viceversa.
Un caso che sta facendo discutere, e non poco, è quello dell’ex Vicepremier ed ex Ministro degli Interni Matteo Salvini, che fino a prima dell’estate 2019 non aveva rivali riguardo al consenso sulla Rete, forte anche della sua efficiente macchina digitale di propaganda, chiamata dagli addetti ai lavori “La Bestia”, in grado di intercettare in tempo reale il sentiment degli elettori su specifiche tematiche, e produrre quindi contenuti funzionali ad aggregare facilmente seguaci tra persone di ogni genere ed età.
Forte del suo ruolo di “più commentato online”, come scrivevo nell’articolo citato in apertura, Matteo Salvini aveva saputo costruire il proprio consenso sulle piattaforme dei Social network, raggiungendo una percentuale di commenti positivi da parte della propria fan-base dell’83%, il doppio rispetto alle testate giornalistiche, dove è apprezzato solo nel 43% dei commenti, con quasi 3 milioni di follower sulla sua pagina Facebook, e con la scorsa estate ben 439.397 post e commenti da parte dei suoi fan, un numero quattro volte superiore rispetto ai commenti pubblicati nello stesso periodo sulla fan page di Luigi Di Maio (97.998) e addirittura quaranta volte rispetto al profilo dell’ex Premier Giuseppe Conte (10.923), all’epoca in carica.
Un anno dopo l’insediamento, come ricorderete, la crisi di governo, e il re dei consensi sul web vide scricchiolare la propria leadership, vittima dell’instabilità che lui stesso generò: sui Social, e persino sulla sua stessa pagina Facebook, da sempre emblema della sua potente forza comunicativa, venne bombardato dai commenti critici di coloro che si sentirono “traditi” dalle sue scelte politiche. La crisi di agosto 2019, infatti, diede il via a un’altalena di cambi di opinione, incongruenze e colpi di scena tra i leader politici, a un ritmo così elevato da riuscire a stupire la maggior parte degli italiani, pur normalmente “assuefatti” ai cambi repentini di posizioni e alleanze dei protagonisti della politica, con il Movimento 5 Stelle in grado di passare in pochi giorni dagli insulti al PD – il “partito di Bibbiano” – a “governiamo con il PD”. In casa pentastellata, tuttavia, le obiettive carenze sul fronte del rispetto del fondamentale pilastro reputazionale della coerenza non sono certo una novità, e – a riprova di quanto “costi” violare i fondamentali del reputation management – il partito di Grillo è riuscito a inanellare un record negativo dopo l’altro, passando in meno di 2 anni da più del 30% di consensi a – secondo le attuali intenzioni di voto – circa il 10%.
Salvini, egualmente, per quelle scelte pagò un prezzo tangibile ed evidente in termini di consenso diffuso, tanto che secondo l’Osservatorio permanente sulla reputazione digitale dei Ministri di Reputation Science, società che si occupa dell’analisi e della gestione del posizionamento sul web, e che ha monitorato costantemente la percezione online degli utenti nei confronti dei protagonisti politici in Italia, in quel periodo la reputazione dell’ex Ministro Salvini registrò un significativo calo. Per quale motivo?
La risposta è semplice: la politica – esattamente come le aziende – ha tutti gli strumenti per identificare, monitorare, comprendere quali sono le aspettative e le esigenze dei cittadini, qui ed ora, grazie alle nuove tecnologie in grado di monitorare il sentiment del pubblico sulle diverse piattaforme Social, e usa questi strumenti per raccogliere una miriade di informazioni e di dati su aspettative e desideri degli elettori, informazioni spesso inquinate da bias potenzialmente distorsivi; questi dati vengono poi utilizzati per “adattare” costantemente la comunicazione politica ai desiderata del pubblico e per apparire in sintonia con gli umori prevalenti, invertendo il processo e agendo quindi non da traino, disegnando un’idea di nazionale e lavorando per costruirla, bensì semplicemente parlando alla pancia degli elettori e seguendo i loro umori del momento.
Mentre le aziende hanno da tempo compreso che la reputazione si costruisce assieme ai propri pubblici, col tempo e per durare nel tempo, la politica si da un’“agenda” diversa: occupare velocemente lo spazio mediatico, intervenendo per primi sulla notizia del giorno, polarizzare tutta la discussione, lanciare messaggi forti e spesso sguaiati, estraendo dall’opinione pubblica sentimenti come rabbia paura e aggressività, i cosiddetti “sentimenti negativi”, funzionali a catturare il consenso di coloro che ascoltano; queste sono le caratteristiche di una strategia di comunicazione politica che brucia il proprio capitale reputazionale sull’altare del consenso immediato, strategia che è stata per lungo tempo la “cifra” della comunicazione politica di Matteo Salvini.
Oggi, tuttavia, leggiamo ancora una volta una “storia” diversa: dopo un periodo di gestione pandemica durante il quale i tecnici, gli esperti e i “professori” hanno ritrovato per forza di cose ruolo e autorevolezza, il pirotecnico leader della Lega è nuovamente al governo, seppur questa volta per interposta persona, e sotterra l’ascia di guerra, indossando il tovagliolo per sedersi a tavola, pur senza abbandonare il suo piglio vivace, con dichiarazioni sorprendenti e disorientanti per chi ha strumenti per leggere tra le righe.
Dinnanzi agli accesi malumori di una parte del suo elettorato, infiammata dall’obiettiva e disarmante incompetenza del Ministro Speranza, che – pur avendo piene deleghe per la gestione dell’emergenza pandemica durante tutta la crisi di governo appena conclusa – attende le ultime ore prima della riapertura degli impianti da scii per comunicare agli imprenditori della montagna che la stagione è conclusa ancor prima di iniziare e che gli impianti resteranno chiusi, promettendo (nelle promesse i membri della nostra sciatta e dequalificata classe politica continuano ad essere campioni…) improbabili ennesimi ristori, Salvini prende la parola per dire: “Non è tempo di divisioni, è tempo di assumersi responsabilità, di stare uniti, mettiamo da parte i malumori e lavoriamo a testa bassa”. Il messaggio al suo popolo è tanto inaspettato quanto chiaro: ci sarà tempo e modo per avere soddisfazione, ora dinnanzi a questa tavola imbandita dobbiamo fare la nostra parte “nell’interesse del Paese”.
Aveva già destato forte stupore il richiamo – di fatto europeista – di pochi giorni fa, nel punto stampa tenuto da Salvini all’uscita dalle consultazioni con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (“Siamo in Europa, ma vogliamo un’Italia che abbia più voce nella UE”), come anche la successiva dichiarazione pro-Draghi (“Non sarò mai lo sfasciacarrozze di questo Governo”) e ancora la dichiarazione sul Ministro della Salute dopo le polemiche dell’altro giorno (“Speranza ha avuto un anno di forte tensione, non lo invidio, lo sosterremo in ogni modo”).
Ora il segretario della Lega procede a ritmo serrato, e mira forse a rendere evidenti le contraddizioni di Andrea Orlando, il Ministro PD che non più tardi di un mese fa aveva liquidato la Lega affermando “Un governo anche con Salvini? Neanche venisse Superman”, e che ora dovrà rassegnarsi non solo a governare con il leader del più importante partito del centro-destra ma anche a incontrarlo e a negoziare proprio con lui vari dossier caldi sul tema del lavoro.
Una vera e propria giravolta: prima le cubiste, le bandane, i cocktail super-alcolici e la musica sguaiata del Papeete Beach di Riccione, ora una comunicazione politica volta all’assunzione di responsabilità come “azionista” del Governo Draghi, condita da abbondanti dosi di rassicurante buonsenso.
Stante il clima nel Paese, e la voglia di voltare pagina, vari esperti osservatori tracciano già la linea: al Governo dell’ex Presidente della BCE il lavoro difficile di contenimento della pandemia, di accelerazione della campagna vaccinale, e d’impostazione delle riforme strutturali indispensabili per far uscire il Paese dalla crisi; poi, nuove elezioni, e governo di centro-destra.
A quel punto, nella sua nuova veste di politico dotato della “diligenza media del buon padre di famiglia” (cit.) la strada per Palazzo Chigi, per il leader leghista, sarà molto probabilmente perfettamente spianata.