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Reputazione aziendale: oggi serve più di una buona mossa social per crearla e mantenerla. Citofonare a Ferrero, che ha scalato tutti i gradini, arrivando al top. Warren Buffet, tra i più grandi investitori finanziari mondiali di tutti i tempi, pare abbia detto: «Ci vogliono venti anni per costruirla, bastano cinque minuti per rovinarla».

è sempre stata fondamentale. «Sono migliaia di anni – spiega Luca Poma, professore in Reputation management alla Lumsa di Roma – che si guarda alla reputazione come a un bene prezioso. Ne parlavano i grandi classici latini, ma anche San Tommaso d’Aquino, con la frase Honor est praemium virtutis nella Summa Theologiae. In ogni caso la reputazione non si costruisce a chiacchere, ma con la virtù concreta, con i fatti. Per questo oggi non si può confonderla con l’immagine sociale, aspetto desueto, esteriore spesso inautentico, costruito con le campagne di marketing e pubblicità».

È dunque qualcosa di più strutturato che ha bisogno di un lavoro più solido. Secondo il professore, «ci sono precise e complesse strategie per costruire una buona reputazione e, soprattutto, mantenerla nel tempo. Tutti i pubblici vanno innanzitutto ascoltati. Pochissimi lo fanno davvero. Il dialogo va rafforzato non solo in quantità, ma soprattutto in qualità, e gli scenari di possibile crisi reputazionale vanno immaginati in anticipo. Occorre prepararsi prima. In Italia, invece, vale la sciagurata regola del “se mi capiterà, vedrò come gestire”. Il nemico numero uno della buona reputazione è l’assenza di autenticità. Per recuperarla, occorre quindi non polemizzare né chiudersi in difesa o nel silenzio, prendersi responsabilità dei danni eventualmente causati, saper chiedere scusa con sincerità, e costruire un buon piano di recovery».

Anche perché gli effetti sono a cascata. «È indubbio – ancora Poma – che la responsabilità di una cattiva reputazione ricada su tutti: imprenditore, manager, dipendenti. Anche i pubblici, esterni, vengono danneggiati quando c’è crisi di reputazione. Si pensi solo ai fornitori che vedono ridursi gli ordini a causa della crisi dell’azienda o alle banche che faticano a recuperare i propri crediti». Secondo Poma, Ferrero è il miglior esempio da seguire perché «non guarda solo alle trimestrali di bilancio, ma getta lo sguardo molto più in là».

Qualcosa è cambiato?

«Con l’avvento di Internet – ci dice Andrea Baggio, Ceo di ReputationUp – l’impatto delle percezioni online si è moltiplicato. E se prima della rete il buon nome di un’azienda dipendeva da interazioni dirette e passaparola, ora, con la digitalizzazione, ogni aspetto positivo o negativo viene amplificato e può influenzare rapidamente l’opinione pubblica. Una famosissima azienda di moda italiana in tre secondi ha bruciato 400 milioni di euro, a causa di un video diventato virale, massacrato sui social».

E allora, come si mantiene la faccia? Sempre per Baggio, la cui azienda utilizza uno strumento chiamato RepUP Monitoring Tool (capace di intercettare in tempo reale qualsiasi contenuto positivo, negativo e neutro pubblicato su Surface Web, Deep Web e Dark Web e un sofisticato algoritmo di IA per calcolare il sentiment di un brand aziendale o personale), conservando «la qualità del prodotto/servizio, l’etica lavorativa, la responsabilità sociale, e il rapporto con clienti, fornitori e comunità. Non esiste una formula percentuale fissa, ma trasparenza e coerenza del messaggio sono cruciali».

Spesso c’è uno scarto tra percezione e realtà. «Un’azienda – continua Baggio – può avere pratiche eccellenti, ma una cattiva reputazione a causa di comunicazioni errate o incidenti isolati. Al contrario, una buona campagna di comunicazione può migliorare la percezione di un’azienda che altrimenti sarebbe mediocre. Però bisogna sottolineare che oggi quella che io chiamo la verità percepita sta diventando quasi più importante della verità vera. Quanto a Ferrero è merito di prodotti di qualità, impegno per la sostenibilità, buone pratiche lavorative e una comunicazione efficace. La loro strategia non si limita alla sola comunicazione, ma include azioni concrete e totali che rispecchiano i loro valori aziendali».

A sentire Isabella Corradini, psicologa sociale e del lavoro, responsabile scientifico della rivista digitale Reputation Today, oltreché curatrice di tre libri sull’argomento, per una buona reputazione «fondamentali sono: la qualità dei prodotti e dei servizi, la capacità dell’organizzazione di trasmettere fiducia e sentimenti positivi ai clienti. Ma anche promuovere luoghi di lavoro sani e partecipativi e far crescere le competenze perché il personale stia bene e lavori bene. Data la centralità dei temi etici e della sostenibilità, è importante anche il modo in cui l’azienda si rapporta al suo esterno, verso l’ambiente e le comunità. Poi non escluderei l’attenzione ai temi del digitale ed in particolare alla protezione dei dati di tutti coloro che interagiscono con l’organizzazione».

La psicologa ci fa sapere che esistono strumenti gratuiti e a pagamento capaci di analizzare il sentimento – la cosiddetta sentiment analysis – per ascoltare cosa dice la rete. «Ritengo però – avverte- che questo possa andare bene nell’ottica del marketing, ma misurare la reputazione aziendale richiede un lavoro di analisi a più livelli».

Non si discosta molto la posizione di Amelia Cuomo, imprenditrice (dirige il Museo della Pasta Cuomo, azienda storica bicentenaria di Gragnano: «La buona reputazione dipende dal rispetto degli accordi, dalla qualità effettiva e percepita dei prodotti. Ma sono importanti anche le buone pratiche adottate all’interno dell’azienda nei confronti dei lavoratori».

Per l’imprenditrice della pasta, in caso di errori, «è necessario cambiare i vertici che rappresentano l’azienda e comunicare bene questi cambiamenti. Ferrero all’apice? È perché in azienda hanno cura ed attenzione non solo nei confronti del processo produttivo, ma anche verso i dipendenti, stimolando politiche incentivanti dal punto di vista economico (stock options ed Mbo per la dirigenza, scatti di carriera ed aumenti di stipendio per gli altri dipendenti), rispettando le norme di legge e attuando una corretta politica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica».

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