In un suo recente articolo dal titolo “Downing Street’s communications revolutionary”, il collega Stephen Waddington ha riepilogato l’inquietante situazione relativa alla manipolazione del consenso operata in Gran Bretagna occasione della campagna per il voto sulla Brexit.
Mentre Londra continua a navigare a vista verso l’ignoto, con un nuovo rozzo populista dalle soluzioni facili al timone della nazione, i burocrati di Bruxelles attendono il cadavere del “No Deal” (Brexit senza accordo) scorrere sul fiume.
Waddington definisce, non a torto, quella per la Brexit “una delle più grandi campagne di marketing e pubbliche relazioni mai realizzate”.
La campagna “Leave” ha infatti vinto con un margine del due percento, in larga parte grazie all’utilizzo di dati, storytelling e targeting a pagamento tramite Facebook, sfidando – e a mio avviso ampiamente oltrepassando – i limiti etici che dovrebbero regolare la nostra professione.
Carole Cadwalladr ha studiato il dossier per tre anni, per conto del quotidiano inglese The Guardian, e la Commissione parlamentare digitale, cultura, media e sport (DCMS) del Governo inglese, guidata da Damian Collins, ha esaminato nel dettaglio la campagna referendaria, pubblicando a febbraio 2019 un rapporto chiamato “Disinformazione e Fake news”. Anche la settima arte si è occupata della faccenda: la storia del Brexiters è stata recentemente raccontata nel documentario di Netflix “The Great Hack”.
La strategia e il pensiero alla base della campagna “Vote Leave” sono spiegati senza remore sul blog personale di Dominic Cummings, il principale architetto della campagna: il blog di Cummings – scrive Waddington – esplora il potenziale che la tecnologia ha oggi di sconvolgere e sovvertire le gerarchie tradizionali e migliorare la capacità di un’organizzazione di raggiungere i propri scopi.
Cummings ha un approccio a prima vista spregiudicato: ad esempio, ha scarso rispetto delle strutture organizzative e politiche esistenti e per le leggi che le proteggono, e il suo disprezzo per le classi politiche e i “civil servant” del Regno Unito non potrebbe essere più chiaro. Critica l’incapacità di utilizzare dati e strumenti moderni e critica anche i processi antiquati normalmente utilizzati: per lui, in sintesi, un fine – lecito o meno è da capire, -dovrebbe giustificare pressoché qualunque mezzo.
Cummings è stato anche convocato dalla Commissione Parlamentare inglese che sta indagando sulle dinamiche propagandistiche relative alla Brexit: semplicemente non si è presentato.
Venendo al dunque, Cummings e Cambridge Analytica hanno utilizzato mezzi di sicura efficacia ma di dubbia etica per identificare ben 7 milioni di elettori le cui opinioni avrebbero potuto essere – in tutto o in parte – manipolate, e prendendo di mira quegli elettori con ben 1,5 miliardi di post sui Social negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale. Le prove raccolte hanno dimostrato che i canali dai quali sono arrivati i finanziamenti per pagare gli annunci online non erano trasparenti e che la paternità degli annunci stessi non era chiaramente rintracciabile (si trattava di ADV “lanciate nel web”, e non di post che apparivano su specifiche pagine ben identificabili).
In definitiva, questo genere di spregiudicata campagna pare essere stata ben efficace, se pensiamo che l’elettorato britannico ha votato per il 51,9% (17.410.742) pro Brexit, e per il 48,1% (16.141.241) contro, condizionando quindi le successive scelte del Governo inglese.
Delle altrettanto spregiudicate manovre per indirizzare il consenso durante la campagna elettorale dell’ex conduttore di reality-show televisivi prestato alla politica, Donald Trump, con oltre 230.000.000 di Americani raggiunti da messaggi che per essere educato non esiterei a definire quantomeno “estremamente polarizzanti”, si è già ampiamente parlato, come anche delle attività online poco chiare in occasione della campagna per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna: senza nulla voler togliere all’importanza del momento elettorale, i cui esiti posso essere solo nelle mani del popolo, appare comunque lecito riflettere se – e come – tali momenti possano essere stati condizionati in termini di libera costruzione del consenso con iniziative palesemente eterodirette.
In ogni caso, meno si è parlato delle sfacciate “incursioni” estere in casa nostra, in occasione delle elezioni di marzo 2018: una tale sequenza di fake news orchestrate ad arte da non essere riassumibile in un breve articolo come questo; ciò che è certo, è che risalendo la “bava informatica” lasciata da chi ha materialmente effettuato le attività distorsive online, si arriva ad account come @DoctorWho74. @lucamedico, @FrancoSuSarellu, e altri, e di li a una rete organizzata di BOT che porta dritti come una freccia, ancora una volta, alla celebre fabbrica di Troll Pietroburgese Ma lo slogan di chi si è giovato di queste ingerenze straniere nelle dinamiche elettorali nazionali non doveva essere “L’Italia agli italiani”…?
Una domanda potrebbe sorgere spontanea, amara, triste e forse provocatoria: “Questi soggetti non hanno altri strumenti per comunicare se non quelli basati sulla diffusione a pagamento di bugie?”. Vero è che la propaganda politica esiste da sempre (un amico mi ha ricordato, per non andar troppo lontani, gli “inviti” pro Democrazia Cristiana dei parroci italiani di mezzo secolo fa, al grido di “In cabina elettorale Stalin non ti vede, Dio sì”…?), il tema casomai è quello relativo all’esponenziale incremento di potenza degli strumenti oggi giorno utilizzati. In tal senso, la questione importante è ben più sostanziale: chi paga il conto? Chi ha firmato gli assegni per centinaia di milioni di euro/dollari/sterline/rubli che hanno finanziato campagne di comunicazione fortemente distorsive come ad esempio quella per la Brexit, che ha ottenuto come eclatante risultato l’uscita dall’Unione Europea di uno degli Stati più influenti del continente?
È sconcertante infine notare come queste “manovre” non abbiano destato allarme, sconcerto e sdegno da parte delle varie organizzazioni di Relazioni pubbliche, come ancor più da parte dei Governi che avrebbero dovuto vigilare sulla trasparenza dei processi democratici di propaganda elettorale, come giustamente denunciato da Michele Mezza nel suo ultimo saggio.
Lo stesso Collins ha dichiarato a un giornalista che
L’attuale legge elettorale è irrimediabilmente obsoleta, e che si dovrebbe esaminare l’ipotesi di una legislazione di emergenza per aggiornarla, almeno per stabilire i principi di base per i quali un post sui Social dovrebbe essere ne più ne meno parificato a un poster o a un opuscolo elettorale.
Chissà cosa ne pensano di questa proposta coloro i quali si sono svenduti per denaro architettando una delle più eclatanti manovre di manipolazione dell’opinione pubblica degli ultimi decenni.
Tante e tali sono le preoccupazioni per le regole di carattere etico a Londra (sic!), che Dominic Cummings è stato appena nominato Consigliere senior del Primo Ministro inglese Boris Johnson, a Downing Street. Il nuovo Premier e il Partito conservatore intendono evidentemente giammai normare, e anzi ulteriormente implementare queste spregiudicate pratiche di comunicazione. Come si suol dire, quando i cafoni si accorgono di aver raggiunto il pavimento, imperterriti iniziano a scavare: più in basso di così, si può sempre scendere.
Edit alle h. 13.00 del 01/09/2019