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L’Ammiraglio Fabio Agostini ha dichiarato: “Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus”. Ma tutti gli specialisti, in Italia e all’estero, raccontano una storia completamente diversa.

La comunità nazionale dei relatori pubblici e dei comunicatori si è interrogata a più riprese negli ultimi 10 anni su quali potessero essere i pilasti essenziali nella costruzione di una buona reputazione, e ha identificato – tra le altre – alcune fondamentali parole chiave, inequivoche, tra le quali autenticità, coerenza e capacità di ascolto. Nell’ampia dottrina del Reputation management, s’inserisce poi la più specialistica disciplina del Crisis mangement, per la quale keyword come sincerità, schiettezza, capacità di chiedere scusa e assumersi le proprie responsabilità, sono valori imprescindibili, confortati tra l’altro da una corposa letteratura in materia, a firma dei più autorevoli ricercatori.

Ha destato quindi un certo stupore e sconcerto la dichiarazione di un alto funzionario delle nostre Forze Armate, l’Ammiraglio Fabio Agostini, attualmente comandante dell’Operazione “Irini” di Eunavfor-Med e già capo Dipartimento Pubblica informazione e comunicazione dello Stato Maggiore Difesa, il quale, ospitato agli “Avio Aero Talk”, ha affermato:

Per mitigare le fake news ed evitare crisi mediatiche in situazioni d’emergenza occorrono strategie di comunicazione integrate. Oggi è più che mai necessario utilizzare tutti i canali di comunicazione essenziali per raggiungere i propri stakeholder, utilizzandoli in maniera coordinata al fine di diffondere un messaggio coerente, coeso e comprensibile. Un esempio di successo recente è la gestione dell’informazione da parte delle entità pubbliche durante l’emergenza coronavirus. L’aver comunicato puntualmente, in maniera centralizzata e costante, l’andamento della situazione epidemiologica e gli interventi messi in atto ha permesso la diffusione di un messaggio univoco riducendo al minimo lo spazio per le fake news. La comunicazione ‘istituzionale’ ha quindi svolto bene il proprio lavoro”.

A proposito di fake news, il confine tra un’affermazione autoreferenzialmente rassicurante e la verità fattuale può apparire assai sdrucciolevole: al netto della propaganda filo Governativa alla quale i vertici delle nostre Forze Armate non sono certo nuove (a distanza di anni non si è ancora spenta la polemica per gli incomprensibili ‘silenzi’ della Marina all’epoca dell’improprio e sconcertante ‘sequestro’ dei nostri due Marò in India, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre), quale storia raccontano i più affidabili analisti esperti in gestione delle crisi?

Un’interessante e approfondita inchiesta pubblicata su Forbes, curiosamente poco ripresa dalla stampa italiana, ha presentato i risultati di un’analisi dei dati rilasciati da varie organizzazioni – OMS, CDC, Johns Hopkins University e Worldometers – su 200 paesi in tutto il mondo, ricerca nell’ambito della quale sono stati sviluppati alcuni quadri analitici avanzati per analizzare lo scenario delll’epidemia di Coronavirus, presentando poi l’output sotto forma di dettagliate “classifiche” che dovrebbero essere utili alle istituzioni pubbliche per inquadrare meglio le strategie realmente vincenti nel contenimento dei danni da Covid-19 e per la gestione efficace dell’impatto economico della pandemia: l’Italia è risultata clamorosamente “maglia nera” nella quasi totalità di quelle classifiche.

Le lacune e gli errori di gestione della comunicazione di crisi da parte del Governo italiano, d’altra parte, sono stati marchiani ed evidenti, come illustrato in articolate analisi ricche di riferimenti bibliografici, e ben altre sono state le nazioni efficaci, reattive e resilienti durante il periodo dell’emergenza: in considerazione della sua indubbia preparazione nella gestione della pubblica informazione, è quindi assai singolare che l’Ammiraglio Agostini non conoscesse questi dati, che paiono raccontare una storia esattamente opposta alla narrazione “compiaciuta” da lui costruita in occasione degli Avio-Talk.


Nel merito, ho intervistato Rosaria Talarico, Ufficiale della Riserva selezionata dell’Esercito Italiano, giornalista professionista ed esperta di media training in programmi di crisis management.

Lei ha vasta esperienza nel settore della comunicazione e informazione pubblica. Nella gestione dei flussi di comunicazione durante il periodo Covid, in sintesi, quali sono stati i più evidenti errori da parte delle Istituzioni?

La scia di errori è talmente lunga che purtroppo è difficile anche farne una sintesi, errori che rimangono tali anche considerando l’opera di Paesi che sono riusciti a fare ancor peggio di noi. Direi che i più devastanti sono stati l’assenza di un coordinamento e la mancanza di una strategia di comunicazione omogenea. Ha funzionato in parte la comunicazione tattica sui comportamenti da tenere durante il lockdown. A quanto pare serve ricordarlo, ma la comunicazione di crisi si fonda su autorevolezza, univocità e chiarezza: chi – in coscienza – può dire di aver apprezzato queste caratteristiche nella bagarre quotidiana sui numeri dei contagi, le liti tra gli esperti delle stesse task force governative, i vergognosi scaricabarile sulla responsabilità delle scelte tra governo e regioni? A ciò si aggiunga il rallentamento nel processo di decisione, motivato probabilmente da ragioni di opportunismo politico ed elettorale. Vergognosa anche quella che durante l’emergenza è divenuta una prassi assolutamente censurabile: l’annuncio dei decreti prima della loro approvazione in Consiglio dei Ministri, forse per testarne il gradimento presso il pubblico. Aver lasciato filtrare bozze di decreti prima che fossero ufficiali, disorientando i cittadini, resta tuttora un comportamento impunito e irresponsabile.  Alla comunicazione a flusso unico fanno da contraltare le buone prassi nella gestione di crisi, che deve essere multidisciplinare, mentre invece la selezione degli “esperti” è stata lenta, non trasparente e spesso non i grado di privilegiare le competenze.  L’inutile bollettino quotidiano della Protezione Civile era un amplificatore di ansia, con un bassissimo valore informativo: i numeri rischiano di apparire privi di senso, senza un valore di riferimento o l’inserimento in un sistema predittivo. È mai stato consultato dal Governo un ingegnere informatico o un esperto di sistemi? Ho assistito a eroici tentativi di fisici e matematici che si sono organizzati “in casa” per fornire curve logistiche sull’andamento della pandemia. Nelle pletoriche e, a quanto risulta finora, inconcludenti task force governative, non c’era posto per qualche competenza in grado di restituire senso ai numeri orientando le decisioni su basi scientifiche? Lo stesso vale per gli psicologi, assenti per tutto il periodo del lockdown e apparsi sulla scena governativa con molto ritardo. Poi vorrei ricordare i gravissimi episodi di rivolte nelle carceri con addirittura decine di evasi e di morti, e l’abbandono in cui sono sprofondate le famiglie con disabili gravi rimasti senza assistenza. Il livello di civiltà di un paese si misura proprio da aspetti come questi. Le crisi hanno un effetto domino quasi impossibile da arginare se si sbaglia l’impostazione nelle fasi iniziali, e la comunicazione ha un ruolo importante in queste dinamiche. E ormai è tardi per invocare il silenzio per non disturbare il manovratore: chi sta in silenzio è complice.

Il suo giudizio complessivo sull’operato del Governo e della maggior parte degli Enti Locali sulla gestione dell’emergenza Covid?

A macchia di leopardo, direi un effetto tipico dell’improvvisazione e della mancanza di una pianificazione a monte. In assenza di procedure “metabolizzate” (e con ciò intendo il loro ripasso costante, non direttive chiuse per anni nel cassetto di qualche funzionario ministeriale) il successo o il fallimento è demandato alla genialità o incapacità dei singoli. Un evento ad alto impatto come una pandemia non si affronta senza avere persone capaci nei ruoli chiave. Non è colpa di Covid-19 se in Italia la meritocrazia è poco diffusa a qualsiasi livello, ma l’incompetenza ha dei costi, anche in vite umane, come purtroppo abbiamo visto. Se i responsabili sanitari, dirigenti amministrativi e relativi staff vengono scelti per fedeltà politica invece che con un’analisi puntuale del loro curriculum, dopo cosa ci si può aspettare? L’incompetenza provoca danni enormi e morti, come abbiamo visto, nonostante lo sforzo eroico di chi si è trovato senza strumenti a fronteggiare l’emergenza in corsia. Sull’accertamento delle responsabilità è al lavoro la Magistratura, che purtroppo interviene quasi sempre dopo, a tragedia consumata. Diverse inchieste giornalistiche hanno già messo in luce scelte dissennate, quando non apertamente criminali.

A suo avviso, una nazione straniera – oltre alla precitata Taiwan – che abbia fatto un buon lavoro nella gestione dell’emergenza Covid?

La Germania, tanto odiata da certi populisti, è un buon esempio di tutto quello che dicevo prima: comunicazione autorevole, centralizzata e catena di comando corta nonostante una situazione di frammentazione dei lander, simile a quella italiana con le regioni. Unita ovviamente a caratteristiche preesistenti come l’efficienza e la competenza delle burocrazie intermedie. Magari in Germania non avrebbero mai avuto il guizzo creativo di trasformare una maschera da sub in un respiratore, ma il punto è che a loro non serviva farlo, poiché ne avevano a sufficienza, grazie a una corretta pianificazione e impiego oculato delle risorse.

Perché questo scostamento tra la “scena reale”, in Italia, e la “scena ideale”, nel Paese che lei ha citato? Quali i motivi, a suo avviso?

Ministri, virologi, epidemiologici, governatori delle regioni, sindaci, da noi hanno parlato tutti e più o meno a casaccio, ognuno “dava i numeri” con bollettini locali ancora più inutili di quelli nazionali, e che spesso generato un clima da caccia all’untore nelle realtà più piccole, dove il controllo sociale è più serrato. La scarsa preparazione durante un’emergenza diventa letale, perché acuisce i problemi già esistenti, non li fa sparire per magia. Il dramma è che non mi pare ci sia una riflessione seria per un cambio di paradigma. Senza competenze non solo non si affrontano le crisi, ma neanche si ricostruisce dopo. Nel nostro Paese dall’indole chiacchierona, sono caduti in questa trappola anche virologi ed epidemiologi, gente ben lontana finora dall’agone mediatico. Il passaggio dagli oscuri laboratori ai meme pop dei social network non è stato però indolore. Purtroppo non ci si improvvisa comunicatori, e la normale dialettica del mondo scientifico, esposta senza filtri a un pubblico sostanzialmente ignorante, è stata scambiata per cialtronaggine, adesso è diventato normale insultare un virologo, come fosse un allenatore di calcio.

Perché – a suo avviso – questa discutibile interpretazione della realtà da parte di alcuni alti esponenti delle Forze Armate? A chi giova?

Le Forze Armate sono inserite a pieno titolo nel sistema della burocrazia nazionale. Nella gestione di crisi però in genere hanno una marcia in più, rispetto ad altri settori dello Stato: un po’ perché è nella loro missione, e un po’ perché l’addestramento è parte integrante della formazione e del percorso lavorativo di ogni militare, fino alla pensione. Durante l’emergenza hanno avuto un ruolo essenziale, anche se poco enfatizzato dal governo e poco valorizzato dalla stessa comunicazione istituzionale. Anzi, c’è stata una fase in cui nel contenimento delle zone rosse, l’esercito ad esempio è stato visto come uno spauracchio e un sintomo di deriva autoritaria, quando invece il contributo dato con strutture, mezzi e competenze dal personale in divisa è stato realmente prezioso. Ma chi lo ha raccontato nel dettaglio? Sta funzionando abbastanza bene la comunicazione social che cerca di smarcarsi da certi stilemi insopportabilmente paludati, retorici e autocelebrativi. L’impostazione gerarchica e rigida spesso non è di aiuto nell’individuare con trasparenza e onestà intellettuale le pur evidenti criticità. Questo porta a un abbassamento del livello delle prestazioni. Si pensa a torto che nascondere i problemi aiuti le carriere, ma è l’opposto di quel che accade nel mondo civile, dove è ingente (anche in termini di parcelle!) il contributo di consulenti che in maniera spietata – ma intelligente – elencano i difetti di un’organizzazione e il modo in cui superarli. Le Forze Armate potevano essere un asset prezioso in una crisi come questa, ma la verità è che non sono state utilizzate e raccontate al massimo delle loro potenzialità.


Ecco quindi un’altra occasione purtroppo persa, in Italia, in questa delicata fase di recovery post crisi, per dare un contributo prezioso a identificare le criticità nel processo di crisis management dell’emergenza Covid-19, così da far tesoro degli errori, discuterne pubblicamente nel rispetto dei migliori principi di accountability, e sollecitare le necessarie modifiche organizzative e culturali affinché la prossima crisi pandemica non ci trovi, nuovamente, impreparati.

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