Il Dieselgate che ha travolto Volkswagen non è solo americano, ma mondiale. Una delle aziende leader dell’automotive e della ricerca per l’efficienza ha smaccatamente mentito. E ora la fiducia è al collasso.
“Pietà quanta se ne vuole, ma non lodate le cattive azioni: date loro il nome del male”. Scriveva così il grande Fédor Dostoevskij. Vero: tra russi e tedeschi a volte nella storia non è corso buon sangue, ma il celebre romanziere e pensatore russo, quando scrisse questa frase, non poteva certamente pensare alla Volkswagen, nata oltre 50 anni dopo la sua morte.
Dieselgate: cronaca di una crisi annunciata
Riepiloghiamo in pochissime righe lo tsunami che ha investito ieri la multinazionale automobilistica di Wolfsburg, scandalo da alcune ore “hot topic” ovunque sul web, meritevole della prima pagina di pressoché tutti i quotidiani del mondo.
Secondo l’agenzia Bloomberg, la prima a lanciare la notizia, l’Epa – l’ente americano per i controlli ambientali – avrebbe riscontrato “significative anomalie” nei dispositivi per i gas di scarico delle auto diesel commercializzate da Volkswagen negli Stati Uniti. La società tedesca avrebbe deliberatamente progettato le vetture in modo tale da “aggirare” le normative antinquinamento, per poi venderle più facilmente sul mercato nordamericano. Una procedura che, oltre a frodare i consumatori, potrebbe nuocere alla salute dei cittadini, aspetto al quale negli Stati Uniti tengono moltissimo. Volkswagen sarebbe dunque al centro di un’indagine penale sia per truffa ai danni dei consumatori che per violazione delle severe norme antismog.
Più nel dettaglio – siete seduti comodi? – la ditta tedesca avrebbe deliberatamente montato sulle auto uno “speciale software” installato appositamente nella centralina elettronica e in grado di “riconoscere” quando la vettura è sottoposta ai test ambientali e ai collaudi, e di attivare, solo in quel caso, i dispositivi più efficienti contro le emissioni nocive in atmosfera, “disattivandoli” poi subito dopo, per migliorare le performance dell’autovettura.
Questo ingegnoso quanto diabolico sistema farebbe sì che il motore vada poi a produrre durante il normale utilizzo fino a 40 volte la quantità di ossido di azoto inquinante registrata prudenzialmente nella fase di “test”, quando il software si inserisce.
Una storia talmente irrealistica nei suoi contorni, da essere degna della pubblicazione su un sito “antibufale” di fact-cheking: impossibile pensare a una tale deliberata stupidità da parte di un marchio leader mondiale dell’automotive.
Se non fosse – purtroppo – vera, come parrebbe confermato dallo stesso numero uno operativo dell’azienda, Martin Winterkorn, che ha parlato attraverso un comunicato ufficiale ammettendo di “guardare con grande attenzione alle accuse”. Si apre ufficialmente il “Dieselgate”: Volkswagen ha sospeso le vendite di nuovo e usato in tutti gli Stati Uniti, e nominato una commissione d’indagine, mettendosi a completa disposizione di Washington per chiarire il più rapidamente possibile l’accaduto. Seguono nel comunicato – invero assai difficile da reperire sui siti web ufficiali dell’azienda – le “scuse verso tutti i clienti e i consumatori” per quella che sta rapidamente prendendo i contorni della più sconcertante truffa su larga scala che si sia mai vista in un intero secolo di storia del mercato automobilistico.
Le ricadute economiche del Dieselgate
Ora il gruppo rischia una multa fino alla stratosferica cifra di 18 miliardi di dollari, tanto che le reazioni in borsa sono state immediate, con un calo del 20 per cento del valore del titolo solo nelle ultime 24 ore.
Immediate anche le richieste di dimissioni dell’amministratore delegato, perché Winterkorn, oltre ad essere il numero uno del board, ha anche la responsabilità diretta sulla ricerca, sviluppo e progettazione dell’intero gruppo tedesco. Le richieste non lasciano spazi di manovra: se sapeva, deve dimettersi; se non sapeva, vista la sua posizione, deve dimettersi lo stesso, poiché se è possibile prendere decisioni su dossier così “delicati” e rischiosi senza che lui ne sia al corrente, significa che l’azienda è totalmente fuori controllo. E il nome di un preciso responsabile – un gruppo di persone, evidentemente, non certo un singolo – dovrà emergere: progetti di questo genere non s’improvvisano “in solitaria”, e una risposta in questo senso Winterkorn la deve non solo all’Epa, ma a tutti i clienti Volkswagen, alla Germania nel suo complesso, istituzioni e politica inclusi, e – viste le dimensioni che ha assunto lo scandalo – al mondo intero.
Dieselgte è una crisi aziendale di dimensioni stupefacenti, che chiama in campo parole come “autenticità”, “fiducia da parte dei clienti finali”, “evidente pregiudizio alla business continuity”. Fiducia – non solo in un’azienda, ma in un sistema paese, quello tedesco, che ha da sempre fatto della rigidità dei processi di controllo la propria “cifra” – già recentemente messa a dura prova con il disastro aereo della Germanwings, con il pilota tedesco suicida chiuso da solo dentro la cabina di pilotaggio, manovra resa possibile grazie all’assoluta inadeguatezza delle procedure di sicurezza aeree in vigore in Germania.
Sui social network l’ironia sul dieselgate impazza, con frasi del tipo “Attendiamo con fiducia che da Wolfsburg comunichino ufficialmente che l’iniziativa – e in definitiva la colpa – è di qualche dirigente di origine italiana; che il board Volkswagen era del tutto all’oscuro di questa vergognosa manovra; e che la casa automobilistica ha una lunga tradizione di rispetto della salute, dell’ambiente, dei consumatori, di Biancaneve, dei sette nani e di numerosi personaggi di Tolkien”.
Al netto del “fuoco sulla croce rossa”, una cosa è certa: le modalità di gestione di questa crisi di reputazione, nelle prossime ore e nei prossimi giorni, determineranno la qualità della sopravvivenza di una delle più solide case automobilistiche del mondo, con buona pace della “solidità e affidabilità tedesca” tanto sbandierate in ogni possibile occasione da Frau Merkel. E in queste ore, gli analisti più critici hanno anche sollevato un altro dubbio. Se Volkswagen ha imbrogliato in America, non potrebbe averlo fatto anche altrove?
To be continued…
AGGIORNAMENTO AL 24/09/2015:
Le reazioni dei principali quotidiani tedeschi al Dieselgte (rassegna tratta da Internazionale.it):
“È difficile capire perché la Volkswagen, nonostante i chiari vantaggi dell’operazione, abbia corso l’immenso rischio di essere scoperta”, scrive Holger Appel in un editoriale in prima pagina della Frankfurter Allgemeine Zeitung. “Un altro enigma è capire perché a lungo l’azienda non abbia reagito. Già dal maggio del 2014 le autorità di controllo e la Volkswagen discutono della discrepanza tra i risultati dei test e le prestazioni dei motori nell’uso quotidiano”.
“Questo scandalo solleva interrogativi le cui risposte devono far tremare i piani alti di Wolfsburg”, la sede della casa automobilistica, sostiene Grischa Brower-Rabinowitch di Handelsblatt, secondo la quale “ora il capo della Volkswagen ha due possibilità per gestire la crisi: deve chiarire o dimettersi”.
“Le auto della Volkswagen non sono mai state a buon mercato sotto la guida di un manager fanatico della qualità come Martin Winterkorn, ma in nessun altro posto un consumatore spendeva meglio i suoi soldi per una macchina”, recita l’editoriale – non firmato — del quotidiano conservatore “Die Welt”: “La Volkswagen era sinonimo di solidità. Era il fiore all’occhiello dell’ingegneria tedesca. Dallo scorso fine settimana questa immagine è rovinata”.
Il capo della casa automobilistica è sotto accusa perché non poteva non sapere della truffa, sostiene l’editorialista Ulrich Schäfer sulla Süddeutsche Zeitung: “Martin Winterkorn sa bene che il capo della Volkswagen non si interessa solo delle grandi linee e della strategia complessiva, ma dell’ultima vite e di ogni minimo dettaglio del motore”.
“I danni sono immensi”,secondo Stefan Sauer del Frankfurter Rundschau. “Soprattutto quelli provocati alla salute attraverso le polveri sottili e i gas velenosi. Nelle città tedesche i valori di soglia di questi elementi sono regolarmente superati e in tutto questo i motori diesel hanno la loro parte. Secondo il Max-Planck-Institut, ogni anno in Germania le polveri sottili provocano la morte di 35mila persone. Un’impresa che per vendere di più manipola i valori di queste sostanze si comporta in modo criminale”.
“Scandalo è una parola troppo debole per descrivere quello che è successo alla Volkswagen e quello che significa per l’automobile tedesca, la sua immagine nel mondo, le sue prospettive di successo e, più in generale, per la fama dell’ingegneria tedesca”, scrive Christoph von Marschall per Der Tagesspiegel, secondo il quale “questa truffa danneggia il marchio Germania”.
Edit del 03/09/2019 h. 18.00:
A tre anni dallo scoppio dello scandalo “Dieselgate”, Volkswagen ha sicuramente reagito, e bene, con una efficace strategia di recovery sul lungo periodo, ben descritta in questo articolo de IlSole24Ore