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Naturale o sintetico? Solo il 20% per cento dei clienti sceglie quello creato in laboratorio. Parliamo di diamanti e il dilemma è antico, ma dallo studio di Format Research per l’Osservatorio Federpreziosi Confcommercio emerge che l’85% dei clienti ha appreso di quelli sintetici da gioiellieri ed esperti (42,2%) oppure on line (38,5%), ma alla fine la scelta si orienta per l’80% su quello naturali. «Il consumatore non è in grado di distinguere tra diamante sintetico e naturale», sottolinea Pierluigi Ascani di Format Research: «A fare la differenza possono essere solo la professionalità, l’etica e la capacità di racconto del gioielliere».

«Leggendo i dati», puntualizza Stefano Andreis, presidente nazionale Federpreziosi, «risulta che solo il “professionista gioielliere” possa essere punto di riferimento per il cliente, non solo perché in grado di raccontare il gioiello trasmettendo emozione, ma soprattutto perché è l’unica figura che può assicurare una corretta informazione e comunicazione sul valore aggiunto delle creazioni». «Il cliente oggi è piuttosto informato», aggiunge Steven Tranquilli, direttore generale di Federprezosi ConfCommercio «ma con dei limiti. Questo è evidente anche quando si parla di sostenibilità, dal momento che il tema è complesso e raffinate operazioni di marketing spesso non aiutano a fare chiarezza. Chi è pronto ad acquistare un diamante, tuttavia, ha in genere fatto la sua scelta etica».

Tra scienza e storia, il gioielliere deve riuscire anche a spiegare la differenza che c’è anche tra il diamante “artificiale” e quello “sintetico”. «I primi cristalli di diamante sintetico», spiega la  gemmologa Loredana Prosperi, «furono prodotti nel 1953 dall’azienda elettrica Asea, ma la notizia venne riportata solo nel bollettino interno aziendale. Nel 1954 la General Electric produsse un cristallo di diamante sintetico di dimensioni millimetriche. Ne venne data comunicazione nel febbraio 1955 dal New York Times. E nel 1970 sempre la General Electric produsse il primo diamante sintetico di qualità gemma». I due prodotti hanno caratteristiche fisiche principali identiche. Ma da una parte c’è una gemma unica, irripetibile, preziosa, che può esaurirsi. Dall’altra, un prodotto di fabbrica, ripetibile e in disponibilità illimitata. Da una parte prezzi in aumento, dall’altra prezzi in diminuzione grazie alla crescente ottimizzazione dei processi di produzione.

Nel caso del diamante sintetico si punta sulla sua sostenibilità, ma quanto sono sostenibili i diamanti sintetici? «Se i diamanti naturali si formano in milioni di anni, talvolta miliardi, ad una profondità di almeno 120 km e fino a 780 km, per creare i sintetitici» fa sapere Federopreziosi «è necessario mantenere i macchinari a una temperatura costante di circa 1600 gradi per vari giorni, con una pressione che varia da un minimo di 45 a un massimo di 70 Kbar e un dispendio enorme di energia. Inoltre, gran parte dei diamanti sintetici viene prodotta in Asia, in Paesi come Cina e India, dove si impiegano ancora energie fossili. L’emissione nell’atmosfera di CO2 è consistente». Secondo una recente ricerca effettuata dall’agenzia indipendente TruCost per conto della Diamond Producers Association è superiore a quella necessaria per l’estrazione di diamanti naturali: per ogni carato di diamante naturale corrispondono a 160 kg di CO2, ma per produrre un carato di diamante sintetico se ne emettono 511 kg di CO2. Quindi attenzione al “sintetico uguale sostenibile”. «Resta, e non è poco, lo storytelling di una gemma che può indietreggiare solo se si fa un discorso di prezzi», sottolinea Federpreziosi: «il diamante sintetico può arrivare a costare l’80 per cento in meno».

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