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È successo di nuovo. E tutti ne parlano. In sintesi, per quei pochi che si sono persi la notizia, la Maison “Dolce & Gabbana” lancia la propria attesa sfilata a Shangai con un videoclip stereotipato e denso di luoghi comuni: lanterne rosse, cinesi che ridacchiano, e una voce fuori campo che sussurra “È troppo grosso per te..?” alla ragazza orientale che tenta di mangiare un cannolo siciliano; partono le (più che comprensibili) polemiche, e l’epic-fail monta al punto che la controllata locale del gruppo è costretta a togliere il video dai Social; Stefano Gabbana viene a quel punto informato della cosa, e con la solita imperturbabile eleganza che da sempre lo contraddistingue, scrive a Michaela Trianova, influencer esperta di moda: “Fosse per me quel video non lo avrei mai tolto, ora dirò a tutti che la Cina è un paese di merda, ignorante, sporco e che puzza di mafia”; la Trianova pubblica gli screenshot, e viene fuori un putiferio di livello mondiale, ampiamente coperto dalla stampa internazionale, senza contare – solo nelle prime 48 ore – i 120 milioni di interazioni non certo lusinghiere su Weiboo, il più importante social network cinese, al punto che, per protesta, i prodotti della maison vengono rimossi da tutti gli store on-line cinesi e da molti negozi veri e propri.
A margine, interessante notare in Italia la differenza di copertura tra i social e la stampa mainstream, e – analizzando più nel dettaglio – tra la stampa mainstream beneficiaria di investimenti pubblicitari del gruppo e quella libera da questo vincolo: diversi addetti ai lavori del settore moda maliziosamente hanno rammentato l’abitudine di Gabbana – che pare essere assai “vendicativo” – di sospendere stizzito gli investimenti pubblicitari a qualunque rivista prenda posizioni distoniche rispetto ai suoi desiderata, come si mormora abbia fatto con diversi periodici in passato.

Errori che costano caro

Tutte facezie, direbbe qualcuno: se non fosse che uscite di testa come quelle per le quali ama distinguersi lo “stilista” mettano periodicamente a rischio la reputazione del marchio, e quindi – dal momento che la reputazione orienta fortemente i comportamenti di acquisto, e di conseguenza il fatturato – facciano ogni volta tremare i polsi agli oltre 5.000 dipendenti della maison, che giustamente temono ripercussioni sui propri posti di lavoro. Impossibile poi non osservare come, al netto dell’ovvia sgradevolezza delle affermazioni del Gabbana dal punto di vista umano, anche dal punto di vista imprenditoriale si debba essere davvero masochisti per insultare i cittadini di un mercato – quello cinese – che sviluppa il 35% del fatturato del gruppo, con 1,3 miliardi di incassi e 50 negozi sparsi per il paese: i media di settore già parlano di “Crollo dell’impero cinese di Dolce & Gabbana”, con possibili ripercussioni negative sul resto delle produzioni “Made in Italy”.
Al netto di ciò, dopo un giorno appare, imperdibile, lo scontato video di scuse di Dolce & Gabbana,

che ha immediatamente scatenato l’ironia della rete…

Uno delle centinaia di fotomontaggi che spopolano sul web in queste ore
Quando si dice “la toppa è peggio del buco”: i due stilisti – riporta RollingStone – “hanno recitato un testo di scuse con la convinzione di un condannato a morte jihadista: un capolavoro d’avanspettacolo”. Gabbana e i suoi addetti alla comunicazione tentano di interpretare – probabilmente senza averne le capacità – una delle regole base della crisis communication: porgere le proprie scuse incondizionate; però lo fanno leggendo un testo di una banalità sconcertante, con affermazioni del tipo “ci scusiamo perché i cinesi sono molti nel mondo” (…fossero stati pochi sarebbe stato giusto insultarli?). Per com’è costruito questo video, neppure il settore comunicazione della maison pare fare gran bella figura: fortissima si sente la mancanza di Cristiana Ruella, che per molti anni diresse con polso fermo e grande capacità la casa di moda milanese, tenendo a bada laddove possibile le intemperanze di Gabbana, e anche risolvendo efficacemente il coinvolgimento dell’azienda in diversi precedenti epic-fail online: troppo brava evidentemente, infatti Gabbana l’ha allontanata a inizi 2017.

Gabbana recidivo

Nelle dichiarazioni successive sui Social, in piena bufera, Gabbana incolpa presunti e sconosciuti hacker informatici che avrebbero piratato i suoi profili pubblicando le frasi offensive (la cybersecurity: da criticità a risorsa…).  No, Stefano Gabbana, temo che nessun hacker abbia “piratato” i tuoi profili social, né d’altra parte tu hai prodotto alcuna prova che ciò sia realmente accaduto: le tue esternazioni riguardanti questa vicenda sono perfettamente in linea con il tuo stile, come quando – nel pieno della bufera per le oche spennate dai sub-fornitori di Moncler per fare piumini, da vive e senza alcun accorgimento per ridurne il dolore (scrissi del caso nel 2014) – twittasti, senza che nessuno ti interpellasse ne ti chiedesse alcunché, “Voi non capite che cos’è il lusso”, scatenando polemiche, non certo solamente da parte degli animalisti; oppure quando twittasti “Comune di Milano, vergognatevi, ignoranti, fate schifo e pietà!” in risposta a un Assessore che si era permesso di commentare l’accusa di evasione fiscale per la quale all’epoca veniste rinviati a giudizio e condannati in primo e secondo grado, a 1 anno e 6 mesi di reclusione (poi, è giusto ricordarlo, assolti in virtù di complesse interpretazioni giuridiche in sede di Cassazione). Le malelingue richiamano l’attenzione sull’orario abituale di vari tweet di Gabbana: tarda sera e notte, quando probabilmente il peso dell’alcool (e forse non solo dell’alcool) si fa sentire, e il personaggio pare perdere il controllo di se, e forse di tutto ciò che lo circonda.
Vi confesso che non avrei voluto scrivere di questo squallore, che conferma una volta di più – semmai ve ne fosse bisogno – la sconcertante impreparazione di parte della classe imprenditoriale italiana sul fronte delle complessità proprie del Reputation management (disciplina che va ben al di la di una comunicazione più o meno ben riuscita), ma era indispensabile farlo per inquadrare il contesto e poter ora parlare di qualcosa che – a differenza dei pensieri confusi di Stefano Gabbana – ha realmente importanza: il potere straordinario delle emozioni, unico driver in grado di veicolare efficacemente i valori di un marchio, come ci dimostra il monumentale video realizzato da Elton John in vista delle feste natalizie in collaborazione con la catena di grande distribuzione inglese di qualità JLP – John Lewis and Partner .

Tutto un altro stile

Nata poco dopo la metà del 1800, JLP si contraddistingue da sempre per la forte attenzione al benessere dei propri dipendenti: fu proprio uno dei visionari fondatori dell’azienda a voler inserire nelle regole di governance del gruppo l’obbligo di ridistribuire una parte assai significativa degli utili a tutti i collaboratori, trattenendo per gli azionisti una quota decisamente minoritaria dei guadagni, e creando così una delle prime “cooperative di fatto” della storia imprenditoriale mondiale; un marchio che macina oggi più di 3 miliardi all’anno di sterline di incassi e da lavoro a quasi 40.000 persone (tutte assai felici, ogni qual volta arriva il dividendo di fine anno).
JLP ha voluto sottolineare nel breve e curatissimo video con protagonista il baronetto del pop mondiale, clip intensissima e davvero emozionante, l’importanza di non regalare oggetti a caso e di “mettere il cuore” negli acquisti: esistono infatti regali e regali, e alcuni di questi possono fare la differenza, condizionando positivamente la storia e la vita di una persona. Il video è un viaggio a ritroso nella carriera del cantante, sulle note di una delle più belle canzoni di tutti i tempi, fino ad arrivare alla sua infanzia, con una conclusione potente e in grado di far venire “voglia di Natale” a chiunque, cuori di pietra inclusi.
https://www.youtube.com/watch?v=mNbSgMEZ_Tw
Dopo aver visto il video, concludiamo ricordando come non troppo tempo fa Stefano Gabbana si sia scontrato duramente proprio con Elton John; Gabbana definì “sintetici” i figli nati mediante procreazione assistita, come quelli del cantante: “Sono uteri in affitto e semi scelti da un catalogo”, profondendosi con l’occasione in un elogio alla famiglia tradizionale (punto di vista rispettabilissimo, non fosse che sia Stefano Gabbana che Domenico Dolce sono gay, circostanza che sarebbe del tutto ininfluente, se non toccasse il tema reputazionalmente assai delicato dell’autenticità e della coerenza).
Guardata in quest’ottica, la cronaca di questi giorni prende i contorni di una nemesi pre-natalizia: Gabbana fa (l’ennesima) figuraccia a livello planetario, ed Elton John ci accompagna verso le feste con una pubblicità emozionante e straordinaria.
Potremmo a questo punto discettare di capacità manageriali; di prerogative tipiche di chi esercita una leadership, aziendale o culturale che sia; di responsabilità sociale d’impresa; di presa di coscienza del proprio ruolo di influencer; o anche solo – banalmente – di stile. Ma penso che ogni ulteriore commento potrebbe risuonare superfluo.
Buoni acquisti Natalizi a tutti; magari non nelle boutique Dolce & Gabbana, bensì nei magazzini JLP.

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