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A costo di bastonare l’aria, vorrei tornare sul tema che più mi sta a cuore: la comunicazione e, per la precisione, quella in rete per la quale non ci sono sufficienti tiratori scelti.

Se ne avessimo – di tiratori armati di acume – non saremmo costretti spesso a imbatterci in risentimenti, prevaricazioni, odio viscerale.

La bulimia digitale ci espone alla rissa e l’ingordigia ci trasforma in donne e uomini primitivi con tanto di clava.

Risultato? L’intento incantatorio riesce quasi sempre e finiamo con il trovarci enormi quantità di bias da gestire, con il rischio di arrivare troppo tardi, di dissipare energie, di sviare dai veri temi del momento, di spalare enormi quantità di spam (vero ‘cibo’ del momento).

Dove nasce questa parola? È una felice sintesi di spiced ham, la famosa carne in scatola della Hormel, rilanciata dai Monty Python in uno sketch televisivo formidabile degli anni ’70.

Avete inteso bene, ma qui non intendo la pubblicità indesiderata che si riceve via e-mail: mi riferisco proprio ad alimenti surrogati, di pronto accatto.

Qualcosa di costo contenuto, da scaffale, di cui è impossibile fare a meno nelle condizioni di vita contemporanee, e nel nostro caso, probabilmente anche vicino al contenuto di altre scatole – meno nobili ma avvincenti – come quelle di Piero Manzoni.

È una figura retorica – quella dello spam – si intenda, e non c’è alcuna controindicazione al consumo di carne in scatola (quella vera), com’è ovvio, e financo banale, ribadire.

Con maggiore convinzione: dove trovare surrogati, tritacarne, brandelli lavorati di corpi (e di menti)? Proprio lì (anzi: qui), dove senza accorgercene diffondiamo prodotti industriali di chiara infamia destinati a sfamare l’insaziabile detrattore o mistificatore del momento.

Che carattere tipografico! Ma non si sta esagerando?

Il Codice di buone pratiche sulla disinformazione, in vigore dall’ottobre 2018, “ha gettato le basi per un dialogo strutturato e ha avuto un impatto positivo sulla lotta alla disinformazione online, nonostante alcune carenze”.

Chi lo dice? La ‘relazione di monitoraggio’ del Gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (Erga) sull’efficacia del Codice.

E mette in guardia dalla fabbrica di spam online che avviene in modo subdolo, da carni allenate all’estorsione di valore, come ha dimostrato il Massachusetts Institute of Technology di Boston attraverso uno studio (“The Spread of True and False News Online”) realizzato insieme a Twitter: 126mila notizie analizzate negli account di tre milioni di utenti, uno scaffale intero di spam per tutti i palati.

“In media, una storia completamente inventata raggiunge i primi 1500 utenti a una velocità sei volte maggiore di una news vera. Una ‘fake’ ha il 70% di probabilità in più di essere retwittata di una ‘true’”.

Stante il ruolo di media-company di molte aziende, noi comunicatori, costretti in un’estenuante zig zag nella rete, siamo ingaggiati anche in un ruolo che è diventato funzione sociale: sbufalatori, demistificatori, disingannatori. Debunker, per coloro che parlano bene.

Riconoscere il buon cibo da quello elaborato, per evitare che venga propinato come ricetta da chef, è diventata attività quotidiana, in subordine a quella che – in realtà – dovremmo svolgere prioritariamente.

Saper riconoscere lo spam antiscientifico, tendenzioso, provocatorio, malsano, take the bunks out of things, è impresa ardua, per la quale è richiesto tempo, competenza, fiuto; attività per palati forti, da Procura della Repubblica e Polizia Postale, più che da banali esperti di comunicazione istituzionale o corporate.

Eppure, l’esperienza ammaestra e incalza e trasfigura la funzione di sempre in ciò che assomiglia maggiormente alla vigilanza urbana: con ciò nulla da togliere a un’altra funzione, quella del ceto pedagogico, che però non ci appartiene.

Siamo diventati grandi a dosi massicce di proteine, e abbiamo compreso come riconoscere lo spam, il facile prodotto che sfama velocemente ma non nutre.

Claire Wardle su First Draft ha avvertito di abbandonare la facile formula di fake news per fare un ulteriore sforzo: comprendere le dinamiche della misinformazione e della disinformazione, svelandone l’ecosistema, la sua grammatica, le sue motivazioni, le regole del gioco.

Questo ecosistema malevolo è ripetizione ossessiva, bombing, reiterazione geometrica: autismo informatico criminale.

Prendiamone le distanze senza riserve, prima di trovarci, noi comunicatori per primi, postumi di noi stessi e vittime di unfascismo di maniera all’apparenza docile ma letale.

Quindi: carne in scatola? No, grazie.

Referenze:

https://www.agendadigitale.eu/tag/fake-news/
https://www.bufale.net
https://www.factcheck.org
https://www.snopes.com/fact-check/
https://www.politifact.com
https://ec.europa.eu/commission/files/factsheet-report-progress-action-plan-against-disinformation_en
https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/communication-tackling-online-disinformation-european-approach
https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/54866/action-plan-against-disinformation_en
http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/notizie/disinformazione-online-e-fake-news-rapporto-del-gruppo-di-esperti-ue/
https://covid19obs.fbk.eu/
http://www.censis.it/comunicazione/il-capitolo-«comunicazione-e-media»-del-52°-rapporto-censis-sulla-situazione-sociale
https://www.labparlamento.it/thinknet/rapporto-censis-italiani-linformazione-tanto-digitale-bassa-credibilita/
http://www.demos.it/2017/pdf/4592capsoc57_2017-12-18_fakenews.pdf
http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2019/02/28/europee-sondaggio-80-italiani-preoccupato-per-fake-news_25da07cf-627d-4b6c-84de-381cdc8902ae.html
http://www.ansa.it/europa/notizie/europarlamento/news/2019/05/24/europee-ong-2-persone-su-3-esposte-a-fake-news-sui-social_77f32dd8-0051-47a2-a479-d04b3ccaffb3.html

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