La comunicazione d’impresa vede sempre più riconosciuto il proprio ruolo di disciplina del management capace di contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali gestendo i rapporti con mercati e stakeholder. Può, però, fare di più rispondendo in maniera efficace alle nuove sfide come la misurazione dei risultati e la spinta alla digitalizzazione.
Questo il quadro rilevato dall’Osservatorio sulla comunicazione strategica condotto dall’università Iulm in collaborazione con la società internazionale di consulenza in relazioni pubbliche Ketchum coinvolgendo i direttori della comunicazione delle prime 300 aziende italiane per dimensioni.
Il primo dato che emerge dalla survey è che la comunicazione in Italia è sì è integrata nei processi strategici aziendali ma presenta ancora buoni margini di sviluppo. L’83% delle grandi aziende, infatti, dispone di una Direzione Comunicazione ma la presenza del chief communication officer nel comitato direttivo è ancora inferiore, con il 42%, alle medie europee che, invece, registrano ben il 76%.
I responsabili della comunicazione italiani possono poi aumentare in maniera significativa anche il contributo nell’influenzare i piani strategici dell’azienda. Se in Europa quasi l’80% dichiara che i propri suggerimenti sono presi seriamente in considerazione dal vertice aziendale, in Italia la media scende al 60%. Va però specificato che più l’azienda è innovativa, maggiore è il coinvolgimento del responsabile comunicazione nel prendere decisioni e la sua possibilità di interagire e collaborare con la direzione generale, la produzione e le risorse umane.
La comunicazione aziendale è in costante mutamento e questi sono i cambiamenti maggiori a cui dovrà rispondere nei prossimi 3 anni. Secondo la survey la comunicazione della responsabilità sociale d’impresa, la comunicazione interna e quella ambientale saranno le 3 attività più importanti sostituendo sul podio attuale la corporate communication, il marketing pr e la comunicazione di crisi.
Proprio per supportare queste attività, oltre che per presentare nuovi prodotti, organizzare eventi e tenere le relazioni con la stampa, saranno sempre più utilizzati i social media e le aziende sono pronte a scommettere soprattutto su Twitter, seguito da Facebook e YouTube.
Sempre secondo la ricerca, il tema della misurazione dei risultati è sempre più sentito dalle aziende anche se oggi 9 imprese su 10 per farlo utilizzano ancora lo strumento del monitoraggio dei media e il 40% degli intervistati valuta l’impatto della comunicazione attraverso la metodologia Ave (Advertising value equivalence) valore che misura il costo dello spazio media e che appare ormai superato.
Il nuovo trend è, invece, quello reputazione aziendale. Oltre la metà delle imprese, infatti, sta investendo, e lo farà sempre più, su questo parametro di misurazione con azioni ben precise come conferma Andrea Cornelli, amministratore delegato di Ketchum Italia e presidente Assorel, Associazione italiana agenzie di relazioni pubbliche.
“Questa esigenza è sentita -spiega- al punto di aver deciso di avviare come Assorel un tavolo di lavoro misto agenzie-aziende per arrivare nel più breve tempo possibile alla definizione di un sistema di misurazione allineato alle linee guida internazionali e customizzabile poi alle esigenze di ogni singola organizzazione”.
Nel prossimo futuro rimarrà invariato il budget destinato dalle aziende alle agenzie di comunicazione e pr coinvolte nel fornire idee creative e originali, un punto di vista strategico e strumenti per il raggiungimento di target specifici. La metà delle aziende italiane, infatti, continuerà così a utilizzare per l’outsorcing il 20% del budget dedicato alla comunicazione.
Inversione di tendenza a breve termine, invece, per gli investimenti in comunicazione. Lo scorso anno, infatti, a causa della crisi economica il budget destinato alle relazioni pubbliche era stato ridotto rispetto agli investimenti pubblicitari (74,8% contro 71,7%) ma le previsioni a 3 anni indicano un cambio di registro.
Le imprese che prevedono stabilità o aumento per le relazioni pubbliche raggiungono il 63% mentre per la pubblicità si fermano al 59%.