Migliora anche la relazione tra Aziende e ONG. I dati del “CSR Italian Summit 2012”
L’adozione di politiche di Responsabilità sociale e di attenzione allo sviluppo sostenibile è un “antidoto” per superare la crisi e rilanciare la competitività delle imprese: lo pensa il 79% dei top manager intervistati nell’ambito della survey “Il sostenibile peso della RSI” (in allegato), presentata a Milano nel corso del “CSR Italian Summit 2012”, organizzato da Business International e AMREF Italia.
Un rapporto che rivela una situazione fatta di luci ed ombre. Secondo quanto emerge dalla survey, i manager percepiscono la gravità dell’attuale contesto economico-finanziario anche come una nuova opportunità per ripensare le priorità e le modalità dello sviluppo economico e sociale. La risposta incentrata sull’adozione di politiche di CSR come principale fattore di innovazione è seguita, con un ampio margine, dall’innovazione di prodotto (49%) e dagli investimenti in tecnologie (44%).
Tuttavia l’impatto della recessione sulle politiche sociali emerge con chiarezza analizzando le scelte di investimento di chi è già socialmente responsabile: solo il 47% dichiara di mantenere costanti i livelli di investimento effettuati, mentre spicca il dato complessivo (43%) relativo alle volontà di ridefinire i progetti intrapresi, diminuire gli investimenti e ridurre la collaborazione con partner specializzati.
Sembra comunque chiara la consapevolezza che il dimostrare di essere un “corporate citizen”, responsabile nei confronti di consumatori, dipendenti e della comunità locale può contribuire considerevolmente a riconquistare, con la cultura della buona condotta, la fiducia della società, minata dalla considerazione, in ampi strati dell’opinione pubblica, che il “business is business” sia in parte causa dell’attuale situazione di crisi.
Dalla ricerca si evince un miglioramento nella considerazione della partnership tra aziende e ONG per la realizzazione di cause sociali. Le aziende cercano visibilità e affidabilità e si rivolgono a organizzazioni che dimostrano un certo livello di managerializzazione e di continuità, con un ambito operativo ben definito e una rendicontazione chiara dei risultati: è anche una questione di linguaggio comune.
Questo elemento risulta evidente nella domanda relativa ai criteri per la scelta del partner: il 41% del campione dichiara di averlo selezionato sulla base della mission e degli elementi qualificanti la sua attività. Il dato rileva un’inversione di tendenza rispetto allo scorso anno, quando la ricerca rilevò che la selezione della ONG una volta su due avveniva attraverso un meccanismo di conoscenza diretta e personale.
Nel complesso, anche se su questo fronte l’Italia registra un ritardo rispetto all’estero, denotando un certo grado di scetticismo e diffidenza da parte delle aziende, il non semplice dialogo tra organizzazioni non governative e imprese è sempre più diffuso.