“Caporalato Armani? Impossibile non sapere. Reputazione ko. Investitori…”
Presunto sfruttamento sul lavoro: avviata l'amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations. Quali saranno gli impatti economici? Parla l'esperto
Presunto sfruttamento sul lavoro: avviata l'amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations. Quali saranno gli impatti economici? Parla l'esperto
“Cose del genere impattano l’intero ecosistema del gruppo. Dire: ‘non ne ero al corrente’ è una via d’uscita di comodo e troppo debole. Non possiamo permetterci di chiudere un occhio su ciò che fanno i nostri fornitori.” Così Luca Poma, professore di Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, oltre che specialista in digital strategy e crisis communication, commenta con Affaritaliani la bufera giudiziaria che si è abbattuta nelle ultime ore sulla Giorgio Armani Operations spa.
Mentre gli abiti e gli accessori del marchio Armani incantano le passerelle di tutto il mondo, dietro le quinte si nasconde uno scenario di sfruttamento e abusi. Il Tribunale di Milano ha recentemente ordinato l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations spa, società incaricata della progettazione e produzione per il colosso della moda. La ragione di tale provvedimento? Gli sfruttamenti e le condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti cinesi, impiegati in fabbriche dormitorio senza che Armani abbia preso le misure necessarie per prevenirlo. Secondo quanto dichiarato dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, la Giorgio Armani Operations spa non avrebbe adottato contromisure adeguate per verificare le reali condizioni di lavoro degli operai né le capacità tecniche delle aziende appaltatrici. Di conseguenza, si sarebbe resa complice, anche se in modo colposo, di imprenditori che praticano lo sfruttamento attraverso il caporalato.
Secondo il professor Poma, quello che genera più sconcerto è che “un colosso come Giorgio Armani non abbia fatto previsione di rischio: quello che sta accadendo evidenzia il fatto che non è stato fatto un assessment sui rischi reputazionali che vanno previsti e mitigati.” Uno scivolone che la maison del lusso italiana non si sarebbe dovuta o potuta permettere vista la sua reputazione. L’accusa mossa dal Tribunale, seppur solo preventiva e non penale, andrà comunque a minare la sua credibilità.
“Gli impatti ci saranno soprattutto dal punto di vista reputazionale“, dichiara Poma. “Reputazione è uguale a denaro- aggiunge- la migliore o peggiore reputazione di un marchio orienta i comportamenti d’acquisto. È ovvio che indirettamente ci saranno anche degli impatti finanziari.” È davvero sorprendente, persino per i più esperti del settore, che un’azienda di tale prestigio non abbia preso precauzioni, come una mappatura dei rischi, o agito preventivamente per correggere le non conformità. Poma suggerisce che Armani avrebbe potuto optare per un cambiamento di fornitore o avviare il proprio fornitore verso standard più in linea con le politiche del gruppo. Questo avrebbe non solo preservato la reputazione del marchio, ma avrebbe anche promosso un’azione virtuosa per migliorare l’ecosistema in cui opera il gruppo Armani.
Insomma la pratica incriminata è quanto mai cinica: Armani, attraverso la sua società Giorgio Armani Operations spa, esternalizza la produzione di parte della sua collezione a fornitori terzi, che a loro volta affidano il lavoro a opifici cinesi. Il risultato? Costi abbattuti, ma a carico di lavoratori sottopagati e costretti a vivere in condizioni disumane. Tutto ciò avviene sotto gli occhi di un colosso della moda che sembra aver voltato le spalle alla responsabilità sociale. Ma quali sono state esattamente le falle nell’ecosistema Armani? Poma evidenzia tre problemi chiave: “rating ESG (acronimo per “Environmental”, “Social” and “Governance”) rilasciato senza adeguata verifica, assenza totale o parziale di mappatura dei rischi e di interventi di mitigazione preventivi, e l’impatto sulla reputazione e a cascata sui comportamenti d’acquisto dei clienti e sul valore stesso del gruppo Armani”.
In altre parole il regno di re Giorgio non si è ben guardato dai rischi che un comportamento del genere avrebbe comportato, prevenendo fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo. D’altronde tutte le accuse sono state sviate dalla casa di moda con un’alzata di spallucce, a mò di “non ne sapevo nulla”.
Questo, secondo il professor Poma alimenta anche interrogativi sulla sostenibilità dell’azienda stessa. Oramai la sostenibilità della moda interessa molto in teoria e poco nella pratica. In pochi si chiedono se i capi che comprano sono prodotti nel rispetto delle persone e dell’ambiente stesso. “È diventato così di moda il termine sostenibilità ma c’è da chiedersi: ‘Interessano di più i certificati appesi com diploma sulla nostra scrivania virtuale o ci interessa incidere sui processi e sull’ecosistema in cui lavoriamo? Se ci interessa prenderci cura di quello che ci circonda allora il comportamento deve essere diverso da quello tenuto dalla Giorgio Armani Spa’”.
D’altro canto la vicenda si intreccia inevitabilmente con riflessioni sul futuro dell’azienda e sul suo fondatore, Giorgio Armani. Nonostante i suoi 89 anni, Armani si dimostra ancora un visionario, ma resta il dubbio su chi potrà davvero mantenere vivo il suo spirito imprenditoriale e la sua etica aziendale. Il designer, che non ha eredi diretti, ha già pianificato il “dopo Giorgio” con la creazione della Fondazione Giorgio Armani, istituita con l’obiettivo di realizzare progetti di utilità pubblica e sociale, garantendo nel tempo la coerenza e il rispetto dei principi fondamentali che hanno guidato la sua lunga carriera nel mondo della moda.
Ora la Giorgio Armani Operations spa, sebbene non sia oggetto di un’indagine penale, è stata messa sul banco degli imputati. Ma cosa significa tutto ciò per il futuro di Armani? È qui che le cose si fanno davvero interessanti. Mentre l’azienda guardava al futuro con una possibile quotazione in Borsa da quasi 5 miliardi di euro, ora si trova ad affrontare una crisi di fiducia senza precedenti. Il rischio di perdere credibilità è come una spada di Damocle che pende sulla sua testa. In particolare, dopo la rivelazione dello scorso anno di un documento top secret che delineava il futuro di Armani dopo Giorgio, si era discusso animatamente della sua possibile quotazione in Borsa, con una valutazione stimata tra i 5 e i 7 miliardi di euro.
È impossibile non considerare le potenziali conseguenze di questo commissariamento sull’economia e sulla reputazione del marchio. “Non c’è dubbio che un’eccellenza italiana come la Giorgio Armani disponga, nonostante ciò che è accaduto, degli strumenti per intervenire rapidamente e risolvere il problema. La quotazione in Borsa è salva“, riflette il professore Poma, evidenziando, però un altro scenario. “Il tema è un altro: quante altre non conformità ci sono? Se vale la regola del ‘non sapevo’ quante altre irregolarità ci saranno ancora?”
Tuttavia, ora, in un’atmosfera carica di incertezza, l’accusa mossa dal Tribunale potrebbe generare due possibili scenari: da un lato, l’accelerazione della vendita del Gruppo come misura di precauzione estrema, dall’altro, potrebbe agire come un deterrente, allontanando potenziali investitori e mettendo a repentaglio la stabilità futura dell’azienda. Poma consiglia “a chiunque andasse ad acquistare azioni della Giorgio Armani Spa di non accontentarsi di dichiarazioni di principio o di rating ESG positive, ma di verificare effettivamente cosa si sta comprando.”
Insomma, l’esperto riconosce che sebbene il futuro economico di Armani sembri al sicuro, episodi come questi mettono in luce delle vulnerabilità che non possono essere ignorate, specialmente “perchè chi compra che deve farsi onere di correggere eventuali non conformità qualora ci sia un passaggio di mano oppure un acquisto da parte di investitori istituzionali.” E conclude consigliando: “se ci fosse una quotazione che prevedesse il passaggio di controllo a un fondo d’investimento, io, se fossi il fondo, condurrei un’attenta analisi dei rischi reputazionali prima di procedere all’acquisto di Armani“.
In altre parole, Armani non sta per andare in bancarotta, ma la sua reputazione inizia a vacillare. Se un tempo veniva valutato in Borsa a cifre da capogiro, ora potrebbe esserci un’inversione di marcia. Gli investitori faranno di certo un bel passo indietro prima di tuffarsi in un terreno che ha già iniziato a franare. E chissà quanti altri scheletri si nascondono nell’armadio di re Giorgio.