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Sorveglianza a strascico, disprezzo dei diritti e pregiudizi: un nuovo documento di Human Rights Watch svela come la polizia americana spia i suoi cittadini

Se questa prova fosse stata ottenuta con un controllo illegale, sarebbe un problema per la Corte. Potenzialmente, potremmo definirlo il frutto di un albero avvelenato”, spiega al pubblico ministero un giudice statunitense, nel 2013. “Con rispetto, ma lo contesto”, replica il PM. “In verità, la cosa non mi crea nessun problema”.

Questo scambio di battute – riportato nel report “Dark Side” che Human Rights Watch ha da poco pubblicato – è la sintesi perfetta di uno dei più classici dilemmi della giustizia: è giusto condannare qualcuno se le prove che lo inchiodano sono state ottenute illegalmente?
Le leggi e le costituzioni di tutte le nazioni democratiche, ovviamente, vietano questa pratica; ma ciò non impedisce alle forze dell’ordine di nascondere spesso e volentieri le vere modalità con cui sono state ottenute le prove che hanno portato a un arresto. Il report di HRW, che si concentra sugli Stati Uniti, mette in luce la vasta diffusione di questa pratica – nonostante sia impossibile fare una stima numerica corretta – e come questa venga nascosta anche agli stessi giudici, attraverso la creazione di una costruzione parallela.

Nulla che non si sia già visto in chissà quanti film

Dopo aver eseguito, per esempio, un’intercettazione telefonica non autorizzata che ha confermato i sospetti su un presunto spacciatore, le forze dell’ordine mettono in scena un “casuale” controllo stradale che porterà alla scoperta della droga dell’auto del sospetto.

Sorveglianza nascosta

Ma a suscitare i maggiori timori sono gli strumenti tecnologici che spesso si nascondono dietro queste costruzioni parallele: dispositivi per la sorveglianza a strascico che consentono di raccogliere un enorme numero di informazioni in maniera illegale; intercettando le attività dei cittadini senza avere avuto il permesso di un giudice.
Il più noto di questi strumenti è chiamato in gergo Stingray (il nome tecnico è IMSI Catcher): un dispositivo che opera come fosse una cella telefonica e che consente di ottenere la geolocalizzazione delle persone controllate, l’elenco delle chiamate in uscita e in entrata e anche di poter ascoltare le telefonate e leggere i loro messaggi. L’utilizzo degli IMSI Catcher, la cui legalità è molto dubbia, viene spesso tenuto nascosto dalle forze dell’ordine (fino a poco fa, non si sapeva nemmeno della loro esistenza); per questo, nel caso in cui le informazioni ottenute portino a un arresto, si crea una costruzione parallela: una storia diversa su come sono state ottenute le prove necessarie.
È il caso di quanto è avvenuto in Florida nel 2013: il diciottenne Tadrae McKenzie rapina 130 dollari in marijuana a uno spacciatore usando una pistola ad aria compressa (ma che può sparare pallini di metallo e quindi viene considerata un’arma vera e propria). Dopo essere stato arrestato, patteggia quattro anni di galera. Alla fine del processo, però, il giudice riduce la pena a soli sei mesi.
Cos’è successo? Semplicemente, che l’accusa non era stata in grado di spiegare come avesse scoperto il luogo esatto in cui il ragazzo viveva e come avesse potuto conoscere i suoi spostamenti con tale precisione. Nel momento in cui il giudice, insospettito, ha chiesto alle forze dell’ordine di mostrare i dati del loro Stingray, la polizia si è rifiutata; convincendolo di trovarsi di fronte a un caso di costruzione parallela e provocando così la forte riduzione della pena.

Ma se queste azioni portano alla condanna di un colpevole, perché è sbagliato utilizzarle?

La costruzione parallela“, si legge nel report, “non permette agli avvocati della Difesa di venire a conoscenza, e di poter quindi contestare, le vere ragioni che hanno portato all’arresto di qualcuno, impedendo quindi l’equo processo che dev’essere garantito a tutti”.
In questo modo, eventuali violazioni dei diritti garantiti a ogni cittadino vengono nascosti e non possono essere utilizzati a favore dell’imputato nel processo; non consentendo al giudice di svolgere il proprio lavoro e imponendo la volontà delle forze dell’ordine sul potere giudiziario. Una prevaricazione che potrebbe avere conseguenze molto pericolose.
I diritti di tutti
Tutto ciò, però, non riguarda solo i diritti dei presunti criminali, ma di ognuno di noi: “Se agenti che lavorano per il governo (la polizia, anche in Italia, risponde al ministero dell’Interno, ndrpossono segretamente violare la privacy, svolgere pratiche discriminatorie e condurre altre operazioni illegali senza mai doversene assumere le responsabilità, i diritti di tutti i cittadini sono messi in pericolo”, si legge sempre nel report. “Portato alle sue estreme conseguenze, la costruzione parallela rischia di creare una società in cui le persone sono costantemente soggette a indagini basate magari su pregiudizi, operazioni illegali o negligenza professionale, senza avere mai modo di venirne a conoscenza e poter così chiedere agli agenti di rispondere delle loro azioni”.
Se non bastasse, l’utilizzo segreto di dispositivi come gli IMSI Catcher cela facilmente operazioni di sorveglianza a strascico con i quali vengono tenuti inevitabilmente sotto controllo anche le azioni di cittadini assolutamente innocenti e che non hanno fatto niente di male. E se credete che “chi non ha fatto nulla di male non ha niente da nascondere”, immaginate con che spirito potreste andare a manifestare, per esempio, contro gli abusi della polizia o contro il governo sapendo che potreste essere tenuti sotto controllo.

Una maschera di Edward Snowden, l'uomo che ha svelato al mondo le tecniche di sorveglianza Usa
Una maschera di Edward Snowden, l’uomo che ha svelato al mondo le tecniche di sorveglianza Usa

Dal programma di sorveglianza Hemisphere, svelato dal New York Times nel 2013, all’utilizzo da parte delle forze dell’ordine dei dati lasciati dagli utenti sui social network, fino al più noto Datagate, sono numerosi i casi in cui sono stati utilizzati segretamente strumenti illegali per sorvegliare i cittadini.
Questi strumenti danno la possibilità di identificare anche le relazioni sociali delle varie persone controllate”, ha spiegato Aaron Mackey dell’Electronic Frontier Foundation. “Ed è estremamente probabile che molti cittadini completamente innocenti siano finiti, con i loro dati, all’interno di qualche database”.
Non è tutto: i nuovi strumenti tecnologici – basti pensare ai software del riconoscimento facciale o di “polizia predittiva” – offrono grandi potenzialità, ma sono ancora molto imprecisi e nascondono non poche controindicazioni. Per questa ragione è fondamentale che la polizia consenta a esperti, giudici, media e cittadini di valutare i dispositivi che utilizza per il proprio lavoro; nella più completa trasparenza.

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