NUOVO STUDIO CHIARISCE IMPATTO AMBIENTALE DI FASHION E CALZATURE
Un nuovo studio di ClimateWorks Foundation e Quantis chiarisce l’impatto ambientale dei settori fashion e calzaturiero a livello globale: complessivamente sono responsabili dell’8% di tutte le emissioni di gas serra prodotte in tutto il mondo
Sono alcuni dei risultati che emergono dal report “Measuring Fashion: Insights from the Environmental Impact of the Global Apparel and Footwear Industries study”, diffuso il 27 febbraio dalla ClimateWorks Foundation (una ong che si occupa di mobilizzare la filantropia per risolvere la crisi climatica) insieme al provider di servizi sulla sostenibilità Quantis.
IL PRIMO STUDIO DEL SUO GENERE
ClimateWorks Foundation e Quantis assicurano che si tratta di una ricerca innovativa. Innanzi tutto perché, dicono, è la prima in grado «di stimare gli impatti ambientali a livello globale delle industrie dell’abbigliamento e del calzaturiero». Andando oltre le stime parziali o gli annunci delle aziende.
In particolare, l’analisi considera il valore della catena del settore attraverso sette passi che vanno dalla produzione della fibra e l’estrazione del materiale fino al fine-vita del prodotto. Inoltre, include cinque diversi indicatori ambientali: cambiamento climatico, risorse, prelievo di acqua, qualità dell’ecosistema, salute umana.
Secondo gli studiosi, gli aspetti innovativi del documento sono tre: 1. si basa su dati specifici d’impatto di questa industria, così come indicati nel World Apparel Lifecycle Database, il che lo rende «completo, robusto e aggiornato»; 2. utilizza un approccio multi-indicatore per valutare diverse aree d’impatto, come il consumo di acqua e gli effetti sull’ecosistema, considerati insieme alle emissioni di gas serra, per assicurare una stima bilanciata sotto molteplici fronti; 3. fornisce una visione dell’evoluzione degli impatti nel tempo.
«C’è una pressione crescente sui brand della moda – ha detto Annabelle Stamm, Quantis senior sustainability consultant – perché dimostrino la propria sostenibilità. Sono state tentate molte simulazioni a proposito della reale performance ambientale dell’industria e della sua catena di valore, dove si trovano i suoi hotspot e quali soluzioni potenziali ci potrebbero essere». Evidentemente, secondo Quantis, si è trattato di simulazioni non complete. «Sapevamo che l’impatto del fashion (sull’ambiente, ndr) era maggiore, ma non avevamo metriche scientifiche su cosa questo significasse davvero. Questo studio ci permette di rispondere ad alcune di queste domande, rompere alcune delle nostre convinzioni collettive e fornire linee guida a chi è impegnato ad agire».
L’ANDAMENTO NEL TEMPO
Tornando ai dati emersi da questo studio, si scopre che senza un cambiamento radicale della situazione il settore peggiorerà di molto nei prossimi anni da un punto di vista dell’impatto ambientale prodotto. Secondo i ricercatori, infatti, se non interverranno cambiamenti, in uno scenario di “business-as-usual”, l’impatto ambientale del settore dell’abbigliamento potrà arrivare a produrre il 49% dei gas serra emessi complessivamente sul nostro Pianeta entro il 2030, ossia quanto emesso ogni anno negli Stati Uniti d’America.
In estrema sintesi, per mettere in moto un cambio di rotta, lo studio identifica tre leve: “ripensare l’energia”; “disruption per ridurre”; e “design per il futuro”. E, in ogni caso, il report conclude chiedendosi: «Sarà sufficiente il passaggio verso un’economia circolare?».
LA PARTECIPAZIONE DELL’INDUSTRIA DELLA MODA
Lo studio, fanno sapere i ricercatori, si è avvalso anche dell’aiuto di uno “Steering Committee” di leader dell’industria ed esperti che hanno fornito feedback e input, poi utilizzati nella finalizzazione del lavoro.
A questo comitato, in particolare, hanno partecipato: Jason Kibbey, ceo della Sustainable Apparel Coalition; Debera Johnson, direttore esecutivo di Brooklyn Fashion e design accelerator di Pratt Center for Sustainable Design Strategies; Megan McGill, program manager di C&A Foundation; La Rhea Pepper, managing director a Textile Exchange; Linda Greer, senior scientist di Nrdc.