Un paio di mesi fa ricevette conferma ufficiale un sospetto in circolazione da un po’: ogni volta che si parla con Alexa– l’assistente vocale di Amazon – ci sono buone probabilità che una persona ascolti ciò che viene detto.
Ora giunge la certezza che Amazon non è la sola ad adottare questa pratica. Un giornalista di VRT News ha avuto accesso a oltre mille registrazioni di comandi impartiti a Google Assistant, ottenute da un’azienda che lavora per Google, e ha scoperto che ciò che accade per Amazon accade anche per Google.Migliaia di dipendenti della Grande G (o di aziende a essa collegate) non fanno altro che ascoltare i comandi captati dagli smartphone e dagli altoparlanti intelligenti e anche le conversazioni captate per caso, all’interno delle quali si possono trovare dettagli personali quali indirizzi e altri elementi che permettono di identificare le singole persone.
Lo scopo di tutta questa attività di ascolto? Rendere sempre più preciso il riconoscimento vocale e insegnare a un sistema automatico a distinguere con precisione tra i vari accenti che si possono trovare all’interno di una stessa lingua.
Sebbene le finalità siano positive, i rischi per la privacy sono palesi. Per esempio, oltre 150 conversazioni delle mille ascoltate da VRT erano state registrate involontariamente.
Chi usa uno smartphone Android con Google Assistant avrà notato che l’assistente si attiva anche quando non viene esplicitamente dato il comando «Ok, Google» ma magari il microfono cattura una frase che vagamente vi assomiglia.
Così tra le registrazioni ci sono conversazioni registrate in camera da letto, dialoghi tra genitori e figli, chiamate di lavoro e altro ancora: tutti spezzoni naturalmente corredati da informazioni personali.
Google, dal canto proprio, afferma che solo lo 0,2% delle registrazioni viene ascoltato da esseri umani; ma si tratta comunque di un numero molto grande, considerato l’ampia diffusione della tecnologia di Google Assistant.
Inoltre, il gigante di Mountain Viewafferma che «questo lavoro è di importanza cruciale per sviluppare tecnologie che siano di supporto a prodotti come Google Assistant».
Insomma, la privacy degli utenti sembra essere considerata un prezzoda pagare obbligatoriamente per poter godere di un servizio e poco importa se, come qualcuno ha già fatto notare, sembrano esserci i margini per rilevare un’incompatibilità con la direttiva europea sulla privacy (GDPR).