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Una scrittrice cinese che si firma con lo pseudonimo di Mitu si è vista negare l’accesso al romanzo a cui stava lavorando mentre era ancora in bozze sul suo computer. Cercando di aprirlo compariva un avviso che diceva che il file era stato bloccato per “contenuti sensibili”.

Il testo, da circa un milione di parole, era salvato sul programma WPS, un’alternativa cinese a un word processor in stile Google Docs e Office che funziona con il cloud. La scrittrice ha raccontato l’accaduto su forum di letteratura cinese, Lkong, e il suo post è stato poi rilanciato da alcuni influencer di Weibo, il Twitter locale, come ricostruisce la Mit Technology Review, la rivista del celebre istituto americano. La denuncia ha aperto una discussione su che controllo possono operare per conto del governo le compagnie tecnologiche.

La risposta è semplice: non ci sono limiti. Pechino ha più volte bacchettato le sue aziende digitali per la gestione dei dati degli utenti, ma il concetto di privacy non esiste quando è applicato alla censura governativa, che è sempre più preventiva. A giugno 2022, l’agente regolatore del web ha reso pubblica la bozza di un aggiornamento della direttiva vigente che obbligherebbe le piattaforma social e le aziende ad applicare una censura preventiva sui contenuti e i commenti degli utenti ancor prima che vengano pubblicati. Il che significa verificarli mentre vengono scritti o tenerli in attesa prima che vadano online per vagliarli. La notizia era stata data in Occidente da Insider.

Durante il durissimo lockdown di Shangai la censura era così soffocante che gli artisti, per aggirarla, hanno dovuto usare gli Nft, quella forma di arte digitale certificata che grazie alla blockchain può essere tanto ufficiale quanto anonima.

Dei manifesti in NFT di PopagandaShangai su OpenSea.

Alla fine, la scrittrice cinese, Mitu, è riuscita ad accedere di nuovo al suo romanzo, secondo il South China Morning Post. La software house WPS ha negato di aver escluso l’autrice dal file, ma ha anche ribadito di essere obbligata dalla legge cinese a controllare ogni documento. Il che, nel caso di Mitu, è sorprendente se si considera che si trattava di un testo da più di un milione di parole. Su Weibo, intanto, altri scrittori hanno raccontato di esperienze simili. In un caso le loro testimonianze sono state persino riprese da media statali come l’Economic Observer, che ha riportato la storia di Liu Hui, sempre uno pseudonimo, tagliata fuori da un documento di 10 mila parole a luglio. L’incidente di Mitu risale invece a giugno (il romanzo era comunque accessibile con altri programmi).

Una delle ragioni per cui i documenti cloud non sono sicuri è l’assenza della crittografia end-to-end tra utente e aziende, il che permette a quest’ultima, volendo, di spiare il contenuto del cliente.

La tecnologia garantisce a un regime avanzato e autoritario come quello cinese di imporre forme di controllo che non hanno nulla da invidiare al Grande Fratello di Orwell e che sono anzi ben più subdole e precise. Per aggirare la censura preventiva digitale gli autori finiranno per tornare alla classica macchina per scrivere.

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