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Pochi giorni prima del 29 aprile, quando era attesa l’udienza preliminare (poi rimandata al 25 maggio) per i quattro agenti dei servizi egiziani imputati nella tortura e omicidio di Giulio Regeni, un misterioso video è iniziato a circolare su YouTube. Privo inizialmente di una firma, una casa di produzione, una identità chiara, il video si presentava come un documentario giornalistico, una sorta di “inchiesta” sul ricercatore italiano brutalmente ucciso in Egitto. Il video, intitolato “The story of Regeni”, malgrado l’aspetto che denotava una discreta capacità di produzione (segue il classico format documentaristico che alterna interviste a ricostruzioni sul campo) e malgrado la presenza di intervistati italiani piuttosto altisonanti (in particolare, l’ex consigliere militare del governo D’Alema, il generale Dino Tricarico, più due ex ministri, Maurizio Gasparri ed Elisabetta Trenta, oltre al giornalista Fulvio Grimaldi) si rivela quasi subito per quello che è: un’operazione di propaganda e depistaggio con l’obiettivo di screditare la figura di Regeni, e mandare un messaggio intimidatorio all’Italia. 

Come scrive Giuliano Foschini su Repubblica, questo filmato racconta “una storia falsa, smentita dagli atti di cinque anni di indagini della magistratura italiana: allontana ogni responsabilità sui militari egiziani e lancia ombre sull’attività del ricercatore italiano al Cairo, ombre ampiamente già categoricamente smentite dall’inchiesta italiana, con Regeni che viene raccontato come sostanzialmente un fiancheggiatore dei Fratelli Musulmani; accusa la procura di Roma; lancia un messaggio chiaro a tutto il Paese: il processo a carico dei cinque agenti della National security, che sta per cominciare in queste ora a Roma, potrebbe compromettere definitivamente i rapporti commerciali tra i due Paesi. In sostanza, il documentario è  uno spot al governo di Al Sisi. Uno strumento, l’ennesimo, di depistaggio e di contronarrazione per cercare di depistare e alterare il flusso delle indagini”.

Ma prima di procedere ricordiamo a che punto siamo con l’indagine italiana. Il 29 aprile ci sarebbe dovuta essere l’udienza preliminare a carico del generale Sabir Tariq, dei colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim e di Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. “I quattro, appartenenti ai servizi segreti egiziani, sono accusati del sequestro, delle sevizie e dell’omicidio del ricercatore italiano, il cui corpo è stato ritrovato il 3 febbraio del 2016 ai bordi della Alexandria Desert Road, al Cairo”, scrive Andrea Ossino su Repubblica. Ma a causa di un legittimo impedimento di un avvocato, che sarebbe entrato in contatto con una persona positiva al Covid, l’udienza è stata rinviata.

Tutta la storia sulla produzione e diffusione del video apre molti interrogativi

Il video è stato messo online su YouTube il 26 aprile, su un canale aperto il 22, senza attribuzioni di sorta. E poi su una pagina Facebook, The Story of Regeni, da cui sono partite varie inserzioni rivolte a un pubblico italiano (e qui c’è un utente italiano che segnala di averne ricevuta una). Una delle inserzioni iniziava così: “Il primo documentario che ricostruisce i movimenti strani di Giulio Regeni al Cairo”. Il canale e la pagina in questione oggi non esistono più, sono state cancellate. Nel mentre su Twitter, tra il 27 e 30 aprile, vari account egiziani promuovevano il “documentario” come una interessante e rivelatrice inchiesta sulla vicenda.

Per quanto misteriosa la mano dietro al documentario, restava il fatto che qualcuno era tranquillamente riuscito a intervistare i suddetti politici. Wired Italia si è messa in contatto telefonico con la persona che ha realizzato le interviste agli italiani coinvolti, che ha chiesto di mantenere l’anonimato dicendo: “Mi hanno mandato le domande e io le ho fatte. Ho fatto il lavoro e rimandato il materiale”. 
“Non è stato però lui a prendere contatto con gli intervistati italiani – scrive Davide Ludovisi su Wired –  bensì un certo Mahmoud Abd Amid, che si è presentato come “rappresentante di Al-Arabiya in Italia”. Eppure non c’è alcun riscontro di una sua collaborazione con l’emittente saudita. Abd Amid ha contattato l’ex ministra Elisabetta Trenta, per esempio – anch’ella comparsa nel video – usando un indirizzo Gmail ora non più attivo”. 

Versione confermata anche a Repubblica, cui la Trenta dichiara: “Sono stata vittima di un raggiro, mi ha contattato un giornalista che si è presentato come di Al Arabiya in Italia ed è venuto, con due operatori, in un’università. Si sono presentati con una mail”. “Egregia professoressa – si legge – la nostra troupe è a Roma per svolgere un film documentario sui rapporti diplomatici ed economici fra Italia ed Egitto. Dopo aver effettuato molte interviste a riguardo credo che la Sua sarebbe fondamentale nella finalizzazione del progetto”. “Chiesi espressamente – dice la Trenta oggi a Repubblica –   che non si parlasse di Regeni. Me lo assicurarono. Ed effettivamente nulla mi fu chiesto. Poi ieri mi hanno mandato questo documentario… Questa schifezza vergognosa”.

All’ex generale Tricarico invece gli operatori si sarebbero presentati come un giornalista egiziano di Al Jazeera, riferiva Wired. Che già il 30 aprile indirizzava invece i sospetti verso una meno nota, ma ben connotata tv egiziana: “Prima di diventare telefonicamente irraggiungibile, il giovane intervistatore ci ha detto di collaborare come freelance con Al Jazeera, Al Arabiya e Ten. Non ci ha voluto dire chi gli ha commissionato la produzione, ma è stato molto fermo su un punto: Al Jazeera e Al Arabiya non c’entrano nulla. Su Ten invece ha glissato”. 

Sospetti che sono stati confermati intorno al 30 aprile quando, mentre venivano chiusi i primi canali e pagine aperti per diffondere il video, la tv egiziana TeN TV iniziava a pubblicizzarlo, questa volta con tanto di logo, su tutti i suoi canali social, postando anche decine di spezzoni e commenti sulla sua pagina Facebook. (Mentre la messa in onda sul canale era prevista per la sera del 30 – TPI).

TeN TV, scriveva tempo fa il manifesto, è un canale privato vicino ai servizi di intelligence del regime, già protagonista di plateali offensive mediatiche contro difensori dei diritti umani. Un canale pro-militari e pro-governo, secondo il saggio Media, Revolution and Politics in Egypt. Controllata dai servizi segreti, secondo l’analista politico Maged Mandour su Open Democracy.

Ora, alcune note e domande.

Il video è apparso non solo in concomitanza con l’udienza in Italia ma anche con l’uscita, qualche giorno prima, di un altro documentario sull’uccisione di Regeni, di tutt’altro tenore (dove compaiono testimoni che accusano i militari egiziani), fatto da ArabyTv (Fadaat media), trasmesso il 22 aprile, e intitolato “Giulio Regeni, The buried facts’. Tanto che su Twitter sembra esserci traccia di questa contrapposizione.

Chiarita l’attribuzione a TeN TV (ma non le modalità della sua prima diffusione in sordina), resta da capire come abbiano fatto gli organizzatori a farsi passare per altro, raggiungendo persone di così alto profilo che, stando alle loro stesse dichiarazioni, almeno in alcuni casi, ritenevano di parlare con interlocutori del tutto diversi da quelli effettivi e per un documentario di altra natura.

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