COME STANNO REAGENDO I MARCHI DEL LUSSO ALL’IMPENNATA DI ACQUISTI ONLINE DOVUTA ALLA PANDEMIA? E COSA STA ACCADENDO SUL FRONTE DEL RIUSO?
Solo un anno fa sarebbe sembrata una brutta fiction. Ma la pandemia ha rivelato quanto sia importante l’e-commerce per il futuro degli acquisti di moda. A differenza dell’industria musicale, che ha Spotify, o del settore alberghiero che ha Booking.com, l’industria della moda non ha un singolo attore online dominante. Tra Stati Uniti e Cina ora infuria la battaglia e in questo caso non sono i designer ma gli ingegneri high-tech e i finanzieri delle conglomerate quotate in borsa a fare da protagonisti. In occidente c’è Amazon in Oriente Alibaba. In mezzo i tre più potenti gruppi del lusso a mondo.
I MARCHI DI LUSSO E LE VENDITE ONLINE
Negli ultimi tre mesi Richemont (che include, fra gli altri, Cartier e Van Cleef & Arpels) e Alibaba hanno annunciato di voler investire 1,1 miliardi di dollari in Farfetch. Anche Kering (che include, fra gli altri, Gucci, Saint Laurent, Alexander McQueen) ha aumentato la sua partecipazione in Farfetch con ulteriori 50 milioni di dollari. In questo modo due tra i più grandi gruppi del lusso hanno potenziato due delle più potenti piattaforme di e-commerce: Farfetch e Yoox/Net-a-Porter, anch’esse di proprietà di Richemont.
I marchi di lusso sono arrivati in ritardo ad abbracciare l’e-commerce. Tuttavia quando la pandemia ha costretto molti negozi a chiudere non hanno avuto altra scelta. Gli acquisti online hanno raggiunto i 58 miliardi di dollari nel 2020, rispetto ai 39 miliardi del 2019: dal 12 al 23% delle vendite globali di questo settore in meno di dodici mesi.
Durante questo 2020 Amazon ha intrapreso due iniziative. Ha aperto specifiche vetrine virtuali negli Stati Uniti e in Europa tra maggio e ottobre. In secondo luogo, ha introdotto la app Luxury Stores orientata ai 150 milioni di suoi abbonati Prime. Qui i marchi presenti controllano direttamente il modo in cui i loro prodotti vengono presentati, dissipando i timori sulla mancanza di selettività dei prodotti proposti. Sull’altro versante l’alleanza di Richemont-Alibaba in Farfetch sottolinea come il colosso cinese dell’high-tech sia stato in grado di aggirare alcuni dei problemi che i marchi di lusso hanno con Amazon. Il suo Tmall Luxury Pavilion ha attirato con successo quasi 200 nomi di fascia alta. A causa delle recenti restrizioni sui viaggi internazionali, i consumatori cinesi (rappresenteranno 178 miliardi di dollari di spesa nel lusso entro il 2025) che erano soliti concedersi il lusso di acquisti all’estero ora lo fanno da casa. Ora che Richemont (insieme a Kering) si sono alleati con Alibaba, si fa concreta la possibilità di creare un gruppo di e-commerce di lusso di enorme massa critica che lega questi conglomerati con l’Asia.
E tuttavia la fibrillazione continua. Amazon, passo dopo passo, sta affilando le armi. Inoltre l’alleanza di Richemont con Alibaba potrebbe cannibalizzare i fatturati di Farfetch. E ancora molti marchi di lusso desiderano controllare i canali digitali che li collegano ai consumatori ovunque si trovino nel mondo, senza che siano coinvolte terze parti. Come accade ad esempio con LVMH (che include Louis Vuitton, Dior, Celine, tra gli altri), il più grande gruppo di lusso al mondo per cui l’e-commerce rappresenta dal 2020 oltre il 10% dei suoi 53,7 miliardi di euro di entrate. Il suo presidente Arnault ha preferito investire nella piattaforma all’ingrosso 24 Sèvres, creata nel 2017, che però continua a perdere denaro.
GLI “OUTSIDER” CHE SI STANNO FACENDO NOTARE
La partita per il dominio miliardario dell’online si gioca dunque sulle due sponde del Pacifico. Ma un settore estremamente dinamico come questo non esclude a priori che in futuro possano emergere altri competitor. La piattaforma tedesca Mytheresa, ad esempio, ha registrato un fatturato netto consolidato di 450 milioni di euro per il 2020, in crescita del 19%. Mentre Farfetch offre più di 3500 marchi, Mytheresa ne ha 250 appena. Il numero “ristretto” le conferisce una configurazione agile: Mytheresa non è il più grande tra i competitor, ma è sicuramente tra i più influenti. Altro player con “piccoli” assortimenti è MatchesFashion, che ha dimensioni paragonabili a Mytheresa: già tre anni fa, la sua valutazione si aggirava intoro al miliardo di dollari. Alla stessa categoria appartengono poi app come The Yes e il motore di ricerca di moda tedesco Lyst.
E per fortuna c’è dell’altro. GenZ e Millennial hanno sviluppato un modo diverso di guardare al “bling-bling” del fashion da fine Novecento. Così accade che ovunque spuntino iniziative difficilmente controllabili anche dai miliardi cinesi, da fondi di investimento o azioni di private equity. Così è accaduto per Menage Modern Vintage. Da quando la quarta stagione di The Crown è apparsa su Netflix, i social si sono popolati di dichiarazioni di desiderio per i colletti pie-crust, gli abiti floreali con maniche a sbuffo e le power jacket degli Anni Ottanta, immortalate dalla principessa Diana. La costumista della serie li ha reperiti in una casa di Fitzroy Square a Londra, dove Chiara Menage, un’elegante ex produttrice cinematografica di 54 anni, gestisce uno shop online di abbigliamento vintage dal suo tavolo di cucina. Per alcuni item della collezione il 100% del ricavato viene devoluto a sostenere persone che soffrono di abusi domestici. Solo un caso virtuoso e fortunato? Certamente una nicchia, ma il resale nel suo complesso è velocemente diventato molto più che di nicchia. Persino LVMH si sta avvicinando rapidamente. Interpellata in proposito dal New York Times Antoine Arnault (figlio del magnate e responsabile dell’immagine, delle comunicazioni e dell’ambiente di LVMH) ha risposto. “È un’economia che esiste, che sta crescendo in importanza, quindi la stiamo esaminando attentamente… È qualcosa che integreremo progressivamente perché è un altro modo per prolungare la vita dei nostri prodotti”.
Sino a ora il resale era stato avvicinato dall’industria del lusso solo attraverso peer-to-peer, come accade per The RealReal. Ma la crescita – specie tra i giovani consumatori ‒ velocissima di nuove iniziative come l’inglese Depop, la francese Vestiaire Collective o l’americana Thredup lo rendono sempre più attraente.