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Abstract

La comunicazione dei progetti di welfare culturale – che con la sempre maggior diffusione delle piattaforme digitali 2.0 deve includere preoccupazioni inedite, e richiede padronanza e specializzazione su specifici linguaggi – perde quindi il proprio carattere “ancillare” al contenuto dei progetti stessi (un “di cui” della progettazione), ed assume invece un ruolo centrale, sostanziale e indifferibile, funzionale a garantire il buon fine degli stessi attraverso un adeguato coinvolgimento della cittadinanza, che è poi lo scopo ultimo della progettazione culturale.

Keywords: Welfare culturale, progetti di welfare, comunicazione, digitale, stakeholder engagement, citizen empowerment, rendicontazione

Testo

La letteratura più recente in materia, con particolare riferimento ad alcuni settori scientifici – segnatamente scienze della comunicazione e reputation management – conferma l’importanza della comunicazione nella costruzione delle relazioni.

Senza costruzione di relazioni, non esiste divulgazione efficace; e senza divulgazione efficace non esiste stakeholder engagement; e senza stakeholder engagement non esiste costruzione di valore mediante i progetti di welfare culturale.

Quindi, possiamo osservare come una comunicazione assente o inefficace genera scarso coinvolgimento della cittadinanza, o più specificatamente del pubblico target di un certo progetto, con conseguente mancata “messa a terra” delle iniziative.

Toni Muzi Falconi, considerato da molti il “padre” delle relazioni pubbliche italiane, già nel 2005 diede un’articolata definizione dell’unico modello di comunicazione efficace al fine di generare stakeholder engagement: parliamo del cosiddetto ”modello di Gruning”.

Questo modello prevede una comunicazione pienamente “a due vie”, nell’ambito del quale i pubblici, gli influenti e gli stakeholder sono ascoltati continuamente, mediante un dialogo che genera un effettivo allineamento e condivisione di valori e obbiettivi, anche attraverso, se necessario, il progressivo riposizionamento e la modifica degli stessi.

Gli interessi dell’organizzazione che promuove il progetto e dei suoi pubblici, in questo confronto continuo, si vanno quindi a sovrapporre fino a coincidere, orientando in modo armonico sia le strategie dell’organizzazione proponente, che le opinioni e i desideri dei vari pubblici coinvolti. Una vera e propria “contaminazione”, quindi, tra chi progetta l’intervento e chi ne beneficia.

Il modello di Gruning è infatti definito “simmetrico a due vie”, in quanto la comunicazione tra organizzazione e i suoi stakeholder è reciproca, e i due attori rivestono un ruolo avente sostanzialmente – in linea di principio – lo stesso potere.

Potremmo in questo caso parlare di “conversazione” con i propri pubblici: un dialogo nel quale l’organizzazione che propone il progetto ricopre il ruolo di attento ascoltatore e attivo interprete, in modo da stimolare un dialogo dinamico con i pubblici influenti, volto a far coincidere il più possibile – armonicamente – gli obiettivi di entrambi.

Solo attraverso l’ascolto attivo dei propri pubblici e la continua interazione con essi sarà possibile immaginare e “costruire scenari futuri”, aumentando il valore dell’organizzazione e dei progetti da essa proposti, e, nel contempo, prendendosi cura della società che circonda l’organizzazione stessa, integrando strategicamente preoccupazioni di carattere etico nella sua attività.

Secondo questo modello, le organizzazioni pubbliche e private non vengono più percepite come “confezionatrici/erogatrici di progetti” – atteggiamento tra l’altro di sapore vagamente auto-referenziale – bensì come “negoziatrici di obiettivi e di valori”, in un processo continuo di proficua contaminazione con la propria audience.

Anello non certamente ultimo per importanza di questo processo di engagement, è il momento della rendicontazione ex post dei progetti, che – come dimostra la letteratura in materia – è lo strumento principe di comunicazione attraverso cui passa la costruzione e lo sviluppo del capitale relazionale dell’organizzazione, pubblica o privata che sia.

Rendicontazione che non deve esaurirsi con un mero adempimento burocratico (magari al fine di sbloccare il saldo di un contributo a fondo perduto) bensì dovrebbe trasformarsi essa stessa in un momento di stakeholder engagement: una rendicontazione, quindi, attraverso la quale le organizzazioni proponenti i progetti dovrebbero rendere note le informazioni riguardanti i progetti andati a buon fine, integrate – aspetto questo non trascurabile – con la valutazione delle performance del progetto sul piano ambientale, sociale ed economico, od eventualmente – perché no – anche su quelli non andati a buon fine, o che per qualunque motivo hanno sotto-performato, analizzandone criticamente i motivi, secondo il principio del comply or explain.

Sui moderni stumenti di rendicontazione dei progetti sociali si aprirebbe un capitolo che ci porterebbe troppo lontano: il riferimento implicito è alla copiosa letteratura relativa al reporting integrato, tema sul quale tra l’altro stanno lavorando diversi framework internazionali anche in ambito professionale (segnatamente la Value Reporting Foundation, ex IIRC e SASB).

Voglio solo in questa sede evidenziare come da tempo la dottrina si sia evoluta passando da procedure di mera rendicontazione ex post dei singoli progetti (rendicontazione come “prodotto”), alla rendicontazione a flusso continuo, 365 giorni all’anno, sulle attività dell’organizzazione culturale/sociale proponente i progetti: una rendicontazione intesa quindi come un “processo”, un “flusso senza soluzione di continuità”.

In definitiva, il rispetto dei requisiti imprescindibili per un’adeguata comunicazione (sintetizzabili in: visibilità, autenticità, trasparenza, coerenza e attivo coinvolgimento della audience) può contribuire in modo decisivo al buon esito delle relazioni con i portatori di interesse, e allo sviluppo ottimale del capitale relazionale dell’organizzazione che propone progetti di welfare.

La comunicazione dei progetti di welfare culturale – che con la sempre maggior diffusione delle piattaforme digitali 2.0 deve includere preoccupazioni inedite, e richiede padronanza e specializzazione su specifici linguaggi – perde quindi il proprio carattere “ancillare” al contenuto dei progetti stessi (un “di cui” della progettazione), ed assume invece un ruolo centrale, sostanziale, indifferibile, funzionale a garantire il buon fine degli stessi attraverso un adeguato coinvolgimento della cittadinanza, che è poi lo scopo ultimo della progettazione culturale.

Mi piace concludere questa mia introduzione al panel con una riflessione di una delle “madri” del welfare culturale in Italia, Catterina Seia, quando dice (cito verbatim): Oggi sussistono le condizioni per un vero e proprio ridisegno del welfare: generativo e di comunità, non più riparativo e assistenziale. In questa cornice, si iscrivono le potenzialità della cultura come fattore abilitante trasversale per la creazione di contesti salutogenici e in grado di promuovere anche empowerment dei cittadini. Tutto ciò, non può che passare da un coinvolgimento attivo delle persone e degli attori sociali, con una negoziazione di valori che vanno co-costruiti. La stessa presenza in ogni documento di policy europeo dell’enfasi sui processi di co-costruzione si fonda proprio su questi principi”

Ecco, in questo scenario, ben disegnato da Seia, la comunicazione come ho detto deve uscire da un ruolo ancillare, addirittura percepito come “frivolo” e a volte, a tratti, svilente del contenuto progettuale, e deve diventare invece forma-mentis: non dev’essere confezionata “a valle”, ma deve diventare una risorsa centrale nell’attivazione e costruzione di un vero cambiamento culturale a favore della cittadinanza.

Integrando processi e strategie di buona comunicazione nei progetti, il welfare culturale – per citare sempre Seia – diventa un modo di stare al mondo, di lavorare insieme, per favorire qualità sociale, autodeterminazione dei popoli e – perché no – giustizia. 

Grazie per la vostra attenzione nell’ascoltarmi, su un tema peraltro non scontato e di stringente attualità come la comunicazione dei progetti di welfare culturale.

Passo con piacere a presentarvi il primo relatore di questo panel (segue dopo la Bibliografia)

Breve bibliografia:

  • Ang S.H., Wight M-M., Building Intangible Resources: The Stickiness of Reputation, Corporate reputation Review, Vol. 12, No. 1, pp. 21-32. 2009
  • Brioschi A., Uslenghi, A., White Space: comunicazione non convenzionale, Egea Editrice, 2009
  • Cloninger, C.R.,  Feeling Good: the Science of Well-Being, Oxford University Press, New York, 2004
  • Cuomo M. T., Tortora D., Metallo G., Misurare il contributo della comunicazione alla corporate reputation per la creazione di valore, Sinergie, n. 90, p. 168, 2013
  • Eccles G.R, Ioannou I., Serafeim G., The impact of corporate culture of sustainability on corporate behavior and performance, Harvard Business School, 2012
  • Grunig J., Two-way symmetrical public relations: past, present, and future, in R.L. Heath, Handbook of Public Relations, Sage, Thousand Oaks CA 2001, pp. 11-30; doi 10.4135/9781452220727.n1
  • Grunig, J., Two-way symmetrical public relations: past, present, and future, In R. L. Heath Handbook of public relations (pp. 11-30). Thousand Oaks, CA: SAGE Publications, Inc. 2001, doi: 10.4135/9781452220727.n1 APA
  • Lampagnano, S. P., Digital reputation management, Maggioli Editore (Apogeo), Milano, 2016
  • Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano, 1993
  • Muzi Falconi T., Governare le relazioni. Obiettivi, strumenti e modelli delle relazioni pubbliche, Il Sole 24Ore, Milano, 2003
  • Poma L, Grandoni G, Il reputation management spiegato semplice, Celid Edizioni, Torino, 2021
  • Poma, L, “Strumenti innovativi per la mappatura degli stakeholder
    e per la rendicontazione integrata”
    , XIX° convegno International Marketing Trends Conference, gennaio 2019
  • Romenti S., Valutare i risultati della comunicazione. Modelli e strumenti per misurare la qualità delle relazioni e della reputazione, Franco Angeli, Milano, p. 156, 2005
  • Romiti S., Corporate governance e reputazione: dallo stakeholder relationship management allo stakeholder engagement, Impresa Progetto, n. 2, p. 2. 2008
  • Salovey, P., Sluyter D., J., (a cura di) Emotional development and Emotional Intelligence: educational implications, New York: Basic Books, 1997
  • Vecchiato Giampietro, Relazioni pubbliche e comunicazione, FrancoAngeli, Milano, 2003
  • Vicari S., Verso il Resource-Based Management, in Vicari S. (a cura di), (1995), Brand Equity. Il potenziale generativo della fiducia, Egea, Milano, p. 17

PRESENTAZIONI PANELIST

  • La Dott.ssa Emanuela Reale è Dirigente di ricerca del CNR e attualmente direttrice dell’IRCRES – Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile. Si occupa di politiche dell’università e della ricerca, con particolare attenzione ai problemi di governance delle università, alle politiche di finanziamento del settore pubblico della ricerca, e ai metodi e strumenti per la valutazione dei risultati della ricerca. Tra gli altri incarichi, è co-editor della rivista internazionale Research Evaluation e Presidente del Forum Europeo per la Ricerca e l’Innovazione. Tra le sue diverse pubblicazioni, possiamo ricordare il numero speciale nella rivista Welfare & Ergonomia che contiene una serie di contributi sulla struttura e l’organizzazione della ricerca pubblica in Italia, e sul passaggio verso un nuovo modello di relazioni tra scienza e società.
  • Presento ora con piacere la collega Franca Maino, dell’Università degli Studi di Milano, dove dirige il Laboratorio “Percorsi di secondo welfare”, e dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”. La Prof. Maino è tra le altre cose membro del Comitato di redazione di “Stato e Mercato” e della “Rivista Italiana di Politiche Pubbliche”, è membro di autorevoli comitati scientifici di fondazioni e centri studi nonché del CdA dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. Tra le numerose sue pubblicazioni, ho piacere di ricordare i cinque Rapporti biennali sul secondo welfare in Italia, assai significativi per i temi che trattiamo oggi.
    Il suo intervento verterà sul rapporto tra Welfare e cultura, con riferimento particolare alle trasformazioni in atto a livello locale, che vedono una pluralità di attori collaborare all’interno delle reti territoriali, e sulla dimensione culturale come una leva per il rinnovamento del welfare stesso.
  • La Dott. sa Alexa Pantanella, ex discente della mia stessa università, la LUMSA, ha lavorato tra Roma e Milano per importanti multinazionali, sia all’estero che in Italia (una tra tutte, Luxottica, azienda di assoluta eccellenza per la quale ha diretto il marketing e la comunicazione). Alla fine di questo mese, uscirà un suo libro, uno dei primissimi testi in Italia veramente esaustivi sul tema del linguaggio inclusivo. È fondatrice di Diversity and Inclusion Speaking, con la quale porta avanti progetti sul tema del linguaggio e dell’inclusione, argomenti sui quali si concentra il suo intervento di oggi, nel tentativo di rispondere – tra le altre – a una domanda saliente: come alcune espressioni – spesso di uso corrente – rischiano di rallentare il cambiamento culturale di cui c’è bisogno nella nostra società?
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