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A Elon Musk, l’eccentrico ed innovatore miliardario americano, si sono dedicati fiumi di inchiostro, e in passato qualche parola l’avevo spesa anch’io per una rapida analisi sul suo personal branding. Ora il problema pare deflagrare, a causa di una fuga di notizie consistente nella pubblicazione, ovviamente non autorizzata, di 23.000 documenti aziendali riservati della multinazionale dell’elettrico. Ma andiamo con ordine.

Elon Musk: apparenza o sostanza?

Musk è una celebrità, questo è certo, ma una celebrità che pare afflitta da una smisurata ipertrofia dell’ego: patisce a non essere costantemente sulla cresta dell’onda (digitale) ed è disponibile a cavalcare qualunque tipo di polemica pur di surfare l’hype, un po’ come un adolescente complessato e desideroso di attenzione. Nulla di male, si direbbe, se non fosse che la continua e reiterata violazione delle più elementari regole delle buone relazioni pubbliche fa male non solo alla sua immagine, ma anche al valore di borsa delle sue aziende, esposte alle fluttuazioni generate dalle esternazioni del loro lunatico CEO.

Ad esempio, la domanda da lui posta qualche mese fa al popolo del web “Dovrei dimettermi da capo di Twitter?” diede come imbarazzante esito un 57,5% di “SI” da parte dei votanti, gettando il boss di Tesla e delle molte altre società della sua galassia nello sconforto: obbedire al volere della rete, come pure Musk ha sempre dichiarato essere imprescindibile fare, o passare oltre, facendo dimenticare la votazione, ma tradendo così la fiducia degli utenti? Ovviamente buona fu la seconda, con il risultato di realizzare la più clamorosa violazione di uno dei pilastri fondamentali del reputation management: quello della coerenza.

Una conferma – semmai ve ne fosse bisogno – che costruire reputazione è un più complesso che non semplicemente “comunicare”: ma davvero nel 2023 c’è ancora qualche dilettante che crede funzionare la formula “bene o male, purché se ne parli?”.

I “Tesla Leaks”: la fuga di notizie riservate e le reazioni del mercato

Ora, il contenuto dei 100 Gigabyte di informazioni interne riservate e pubblicate online su Tesla potrebbe rivelarsi potenzialmente devastante per il gigante texano dell’elettrico: auto che si schiantano contro i dissuasori stradali, freni attivati di colpo per evitare collisioni immaginarie, e circa 2.400 reclami per veicoli che accelerano sfuggendo al controllo dei proprietari, come riporta un articolo del quotidiano economico tedesco Handelsblatt ripreso poi da Wired UK.

Wired UK spiega che dal 2015 al 2022 i problemi di sicurezza relativi all’Autopilot di Tesla, che parrebbe essere causa di diversi incidenti quasi mortali, sarebbero stati numerosi, ben noti alla casa produttrice e – clamorosamente – se non ignorati quanto meno sottostimati, nonostante le ben 360.000 vetture già richiamate per aggiornamenti al software.

A ciò si aggiunga – evidenzia sadicamente il quotidiano tedesco – che l’azienda non lancia un nuovo veicolo elettrico dal 2020, ed è ormai considerata – paradossalmente, dal momento che proprio Tesla è stata innovatrice nel settore – in significativo ritardo rispetto a diverse altre case produttrici di automobili.

Matthias Schmidt, analista automobilistico indipendente di Berlino, ha affermato: “Tesla ha da tempo adottato un approccio affrettato per lo sviluppo dei suoi prodotti, che genera preoccupazioni sul fatto che i nuovi modelli siano effettivamente pronti per circolare (sulle strade, ndr). Nel complesso, i veicoli dell’azienda sono stati coinvolti in 393 decessi registrati, 33 dei quali avevano a che fare con il sistema Autopilot”. Ciò che ha dell’incredibile è che il CEO Elon Musk “accetta la morte dei conducenti come una conseguenza dell’avanzamento della tecnologia“, conclude Schmidt.

Handelsblatt riporta nella sua inchiesta anche il parere di Ferdinand Dudenhöffer, direttore del Centro di ricerca automobilistica dell’Università di Duisburg, in Germania, che ha preso posizione criticamente, dichiarando: “Tesla ha migliaia di informazioni, di reclami dei clienti, e allo stesso tempo dice alla gente che è il miglior prodotto del mondo“.

Mi chiedo: siamo – incredibilmente – ai prodromi di un nuovo Dieselgate[1]?

Interessante però notare – ai fini della nostra analisi – come Dudenhöffer attribuisca la responsabilità dei crescenti problemi di Tesla direttamente a Musk: “Non dovrebbe più essere l’amministratore delegato e il capo Tesla – ha dichiarato l’esperto – perché continua a commettere errori su errori” (!).

È ancora presto per capire quali saranno le reazioni dei clienti e in generale degli stakeholder dell’azienda di Musk, anche se Soumen Mandal, analista di Counterpoint Research, ha osservato che “Tesla è solita creare aspettative elevate, che spesso però fatica a soddisfare“. A riprova di quanto la situazione potrebbe essere critica, è interessante evidenziare come il prezzo delle azioni di Tesla avesse raggiunto un picco di 407,36 dollari nel 2021, ma da allora sia calato di oltre la metà, arrivando la scorsa settimana a 184,47 dollari per azione: quanti danni dovrà ancora creare l’approssimazione di Elon Musk nella guida del gruppo prima che i fondi di investimento perdano la pazienza? E ancora: basta una conduzione “eccentrica” e fuori dagli schemi della comunicazione per tenere a galla – e far rendere – una multinazionale delle dimensioni di Tesla?

La reputazione: è solo cura dell’immagine (a qualunque costo)?

“Costruire la propria reputazione privilegiando non solo l’immagine, la pubblicità o il marketing fini a se stessi, bensì l’azione: il fare, e il raccontare bene ciò che si è fatto, partendo, sempre, dalla consapevolezza – profonda e sentita – della propria identità”: questo scrivevamo nell’introduzione a un volume sul reputation management scritto a quattro mani con la collega Giorgia Grandoni.

Il termine identità si riferisce all’essenza degli elementi che caratterizzano l’organizzazione nel profondo, sia materiali che immateriali: la sua personalità, la vision, la mission, i valori guida e i comportamenti dei membri; nel senso più esteso, il motivo stesso per il quale l’organizzazione esiste. Mai il termine greco Telos – utilizzato da Aristotele, ma ripreso poi anche da Hegel e Marx – fu più centrato: lo studio degli oggetti in relazione ai loro obiettivi, contrapposto (o meglio, integrato) dal termine Téchne, ovvero il metodo, grazie al quale si raggiunge uno scopo o si realizza un oggetto.

La domanda alla quale, banalmente, è utile tentare di rispondere, quando si indaga circa l’identità di un’azienda, o si lavora per rivitalizzarla, è la seguente: quale era il sogno dell’imprenditore, il giorno in cui ha sottoscritto l’atto fondativo dell’organizzazione? Dove voleva arrivare? Cosa voleva cambiare nella società?

Invece l’immagine – più banalmente – riguarda solo la forma esteriore dell’organizzazione, il riflesso dell’identità dell’organizzazione così come appare agli occhi dei suoi pubblici, ed è questione assai più superficiale ed effimera.

Le organizzazioni però investono molto sul concetto di immagine – e in questo Musk pare un maestro – per cercare di distinguersi e di essere attraenti agli occhi di tutti gli stakeholder, e il processo di costruzione dell’immagine aziendale è spesso la priorità degli uffici marketing e pubbliche relazioni. Quest’attività tuttavia può rivelarsi assai rischiosa quand’è autoreferenziale e poco genuina: se ci si allontana troppo dalla vera identità dell’organizzazione, proiettando un’immagine inautentica e artefatta, si entra nel tunnel del rischio di crisi reputazionale, che distrugge valore non solo per l’influencer/ brand/ azienda ma – ed è ben più grave – anche per tutti coloro che su di esso/a hanno investito.

Metaforicamente, potremmo immaginare l’identità di un’organizzazione come un palazzo, e l’immagine come un’impalcatura costruita attorno dagli operai per rinnovare la facciata e renderla più gradevole: se la distanza tra l’impalcatura e il palazzo si rivelasse eccessiva, l’impalcatura inevitabilmente crollerebbe.

Forse l’impero di Musk necessita urgentemente di nuovi “operai” e di una strategia all’altezza delle criticità che sta vivendo: diversamente l’impalcatura potrebbe crollare, trascinando nel disastro il suo poliedrico creatore.


[1] Lo scandalo che investi il gruppo Volkswagen in relazione alla manipolazione da parte della causa automobilistica tedesca dei dati delle emissioni di CO2 in atmosfera per i motori diesel, che impatto significativamente sulla reputazione (e sui conti) dell’azienda, qui ulteriori dettagli

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