Dove siamo rimasti?
Colera, vaiolo, tifo, per non parlare della peste nera del 1348 che ha falcidiato il continente trasportandolo nel Rinascimento con nuovi linguaggi e tecniche; oppure la più recente influenza ‘Spagnola’, responsabile di oltre 50 milioni di morti in tutto il mondo, ponte con il Futurismo.
Ricordate il Boccaccio, a proposito della peste nera e della distanza sociale che ne scaturiva? “Li padri e le madri, i figlioli, quasi loro non fossero, di visitare e servire schifavano”. Egon Friedell, storico austriaco, si convinse che la peste “causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e di universo, scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora, vedendosi in ciò un rapporto causale diretto tra la catastrofe della peste nera e il Rinascimento”.
A Pieter Bruegel il vecchio, con la sua vittoria della morte sull’umanità, preferisco il futurismo e il suo slancio all’innovazione che mette in moto energie.
Questo appuntamento forzato con la storia ci pone seri interrogativi sulle consuetudini, sulle organizzazioni, sugli stili di vita e sul modo di approcciarci ai bisogni collettivi e funzionali della società del secondo postfordismo, quello biomediatico.
Mentre cerchiamo di combattere il Corona virus, costringendo l’umanità a restare nelle proprie abitazioni, abbiamo modificato significativamente le modalità convenzionali di fare città, impresa, relazione, destabilizzando le nostre certezze acquisite nel post trauma del Novecento.
Non mi riferisco ai wwworkers, al consumo distale di cultura e intrattenimento, alle consegne a domicilio, alle nuove arene di incontri rappresentate dai social.
LA SOPRAVVIVENZA DIGITALE
C’è dell’altro di cui parlare in questo momento, a partire dalle condizioni di accesso alla sopravvivenza digitale. Il digital divide tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso è ancora troppo importante per non considerarlo come la principale sfida del futuro (ma non doveva essere, questa, la sfida del secolo, ribadita a Davos nel 2000?).
Condizioni economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di genere, culture urbane o rurali, l’analfabetismo informatico e funzionale, l’assenza di connettività avanzata (banda larga), scarsa presenza di servizi pubblici digitali sono soltanto alcuni temi che rientrano a pieno titolo nei programmi di Governo.
È di ormai due anni fa il progetto ‘Digital Innovation 4 SDGs’, un progetto di advocacy di Wind Tre per diffondere la cultura della programmazione in questo ambito a partire dai gap strutturali del Paese. Lo ricordate Jeffrey Hedberg? Così parlava al lancio dell’iniziativa: “abbiamo individuato i maggiori gap da colmare e le leve su cui il settore può agire per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, mettendo a fuoco 4 temi chiave: l’educazione, l’inclusione, la responsabilità e il contributo all’ambiente e alla qualità della vita”.
Sono tanti i progetti digitali intrapresi da aziende e università e mai prima d’ora si assiste ad un profluvio di iniziative intelligenti, oneste e brillanti, ma forse ancora troppo distanti dal Paese reale. Infatti, l’Italia si posiziona al 25° posto fra i 28 stati membri dell’Unione Europea con un indice di digitalizzazione (strutturato in connettività, competenze digitali di base, utilizzo di Internet e digitalizzazione di imprese e pubblica amministrazione) del 44,3.[1]
Quante risorse economiche abbiamo per la nostra Agenda digitale? L’Europa ha messo a disposizione complessivamente 11,5 miliardi di euro (1,65 miliardi di l’anno) dal 2014 al 2020, il 77% (1,27 miliardi l’anno) da fondi strutturali di cui a fine 2018 sono stati spesi meno del 16%. Questo secondo i dati poco incoraggianti dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.[2]
Perché insisto su tema? Perché in una emergenza come questa, il digitale potrebbe cambiare radicalmente la resilienza di organizzazioni, famiglie, sistemi produttivi, economie locali. Perlomeno potrebbe mutare la nostra percezione e aprire l’accesso a molti sistemi di sopravvivenza e fruizione culturale, didattica, persino artistica.
Invece, in queste ore, l’emergenza mette in risalto alcune fragilità cui è necessario porvi rimedio, non appena sarà possibile, allocando finanziamenti e competenze anche private.
ALCUNI ESEMPI
LA SCUOLA
La cittadinanza (come progetto e come processo) passa dai luoghi fisici precisi: scuole e università, che resteranno ancora chiuse per mesi. Questi presidi inespugnabili sono luoghi di confronto e di crescita civile, politica, interpersonale. E’ fondamentale proseguire con forza nel life-long learning, ambito principale dove sperimentare nuove tecnologie digitali. Gli ambienti di apprendimento, basati su piattaforme online, servono per la continuità dell’apprendimento e per proseguire nell’intento collaborativo – fondamentale, nell’ambiente didattico – e nel confronto sistemico.
In questo momento di rarefazione dei rapporti umani, l’assenza di strumenti e connessioni aumenta le disuguaglianze tra le scuole e, dunque, tra i bambini; li sottrae ai luoghi di maggiore elaborazione psicologica; impedisce la collaborazione didattica tra insegnanti e istituzioni; impedisce il contatto con persone provenienti da contesti di fragilità sociale, culturale, personale; aumenta la povertà educativa; aumenta la disparità sociale; in una espressione plastica: moltiplica l’indice epidemiologico della povertà.
CULTURA E INTRATTENIMENTO
Ma non finisce certo qui: anche la fruizione dell’immenso patrimonio culturale – e dunque il suo accesso universale – passa dalle condizioni di accesso alla rete. L’enorme tempo libero che le persone sono chiamate a gestire con nuova intelligenza può essere riempito da intrattenimento culturale con (anche) il risultato di ridurre gli impatti frustranti e logoranti dell’emergenza. Moltissime istituzioni culturali si sono lanciate da tempo nella digital transformation, con l’obiettivo di rendere fruibili mostre digitali e tour virtuali, dalle Ipervisioni degli Uffizi di Firenze, ai tour virtuali della Venaria e del Museo Egizio di Torino e dei Musei Vaticani. La cultura è ormai agile e l’intero pianeta si predispone alla fruizione gratuita e a distanza dei suoi tesori con un livello di apparati mai pensati prima. Fruirne diventerà ben presto condizione di esercizio di cittadinanza ma, ancora una volta, l’accesso dovrà essere garantito davvero a tutti.
La trasformazione digitale in atto coinvolge anche le attività delle Industrie Culturali e Creative con nuove opportunità di impresa per competere nel mercato globale al fine di diffondere know-how. Teatro e danza arrancano ma anche per queste discipline la nuova modalità di partecipazione volatile si è già innestata. Per l’industria culturale deve valere quanto immaginato per l’industria pesante o per gli altri comparti produttivi: non è pensabile che il vero motore propulsore identitario di una nazione vada in sofferenza acuta perché tantissime produzioni sono ferme e molte altre praticamente fallite. Il Decreto Cura Italia è un valido inizio ma “sono tuttavia necessarie e improrogabili ulteriori misure specifiche per il settore della cultura, drammaticamente allo stremo”, come ha dichiarato Innocenzo Cipolletta, presidente di Confindustria Cultura Italia (CCI), Federazione Italiana dell’Industria Culturale che riunisce le associazioni dell’editoria (AIE), della musica (AFI, FIMI, PMI), del cinema e audiovisivo (ANICA, APA, UNIVIDEO) e servizi per la valorizzazione del patrimonio culturale (AICC).[3] Sul tema anche la comunità artistica italiana si è mossa da tempo con un appello al Governo lanciato il 12 marzo dagli assessori alla Cultura delle grandi città.[4]
E-PROCUREMENT
Acquisti on line, approvvigionamenti per garantire continuità dei servizi, mobilità e transazioni finanziarie per i beni, anche essenziali. Qualche anno fa, tra i settori maggiormente proficui, c’era il Food&Grocery, che nel 2019 ha avuto un aumento del 39% (pari a 1,6 miliardi di euro). Il settore alimentare, fanalino di coda del mercato e-Commerce, che contava su un paio di punti percentuali degli incassi globali, come sarà aumentato ultimamente con il moltiplicarsi di piccole botteghe, consorzi, iniziative locali? Ma anche su questo punto esistono differenze siderali all’interno del Paese.[5]
SANITÀ DIGITALE E CONNECTED CARE
C’è un ulteriore ambito di sfida, quello alla comunità della cura. Si legge sul portale dell’AGID, che “la Strategia per la crescita digitale e il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione hanno definito la azioni di intervento dedicate all’ecosistema della sanità digitale e le principali soluzioni finalizzate a migliorare i servizi sanitari, limitare gli sprechi e inefficienze, migliorare il rapporto costo-qualità dei servizi sanitari, ridurre le differenze tra i territori”. Queste sono: il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), il Centro unico di prenotazione (CUP), la Telemedicina.[6] Proviamo a spingerci oltre, con una visione di interconnessione permanente per la comunità scientifica internazionale che serva ai professionisti nell’aggiornamento, nell’acquisizione di risultati in tempo reale, nel confronto tra saperi non solo accademici. In circostanze come queste, il confronto in tempo reale tra studi comparabili, approcci, sperimentazioni, piani globali di intervento dovrebbe essere affidato ad una “extended peer community” in connessione con l’OMS.
- Tracciature, predittivita’, scenari con modelli di prevenzione data based
- Post-ricovero e diagnostica on demand
- Intelligenza artificiale e di machine learning nella ricerca
- Tracciabilità digitale dello stato di salute e dei servizi al cliente
- Per promuovere la formazione mobile learning degli operatori sanitari
- Big data e agenzie europee
La sanità digitale e i progetti di connected care serviranno a poco senza una voce unitaria rappresentativa che nei momenti di crisi acuta fornisca dati inoppugnabili e prese di posizione ufficiali validate con cura. Il decisore politico ha bisogno di elementi oggettivi di valutazione, anche per affinare la propria capacità esecutiva e ha enormemente bisogno di tutte le competenze necessarie per allestire scenari predittivi e per allocare le risorse in sanità.
Di più. Alla sanità digitale credo vada affiancata una maggior capillarità del presidio fisico diffuso perché la cosiddetta medicina di famiglia, che gestisce le prime cure in ambiente extraospedaliero, dovrebbe essere ripensata, anche in relazione ai troppi luoghi di cura dismessi e alla prevenzione.
Nella resilienza dei territori, per esempio, non possediamo ancora paper aggiornati provenienti dalla comunità scientifica che nel tempo siano diventati pilar di riferimento. Il principio della competenza, grazie all’emergenza in atto, sta riportando le persone a fidarsi della scienza e questo atteggiamento nuovo, tutt’altro che scontato poche settimane or sono, impone all’agenda governativa la necessità di dotarsi di strumenti seri e affidabili nella programmazione degli interventi. Anche qualche élite apolide e cosmopolita ha abbracciato analisi multidisciplinari, composte da elementi sociologici, geopolitici, economici, lontane da luoghi comuni, rigidità ideologiche, giochi delle parti.
INFODEMIA
Tuttavia, mai come oggi, c’è la necessità di fermare un’emergenza nell’emergenza: il prurito infodemico che mette insieme voci psicotiche, fenomeni di auto polarizzazione, eccesso di dati non vagliati, bias pregiudizievoli. Nell’epoca della post-verità (alternative facts, fake news, doublespeak, doublethink, backshoring, alternative right), il ‘fatticidio’ e il pensiero bipolare della rete devono trovare risposte toniche da parte del Governo attivando la task force per combattere la disinformazione.
Questa emergenza mostra il lato meno edificante di un capitalismo immateriale che non tiene in sufficiente conto il rischio di nuove conflittualità sociali basate sul possesso di false informazioni nel gioco dell’intermediazione.
A fine crisi il bilancio dei morti, dei punti di PIL persi, delle imprese chiuse, delle inadempienze e delle cecità di qualche decisore, potrebbe moltiplicare i focolai di sovranismo psichico che conducono al sentimento di rivalsa, quando non di vero rancore sociale.
In questo risentimento diffuso, latente, siamo abituati a ritenere che le notizie false, le bolle di filtro e le post-verità siano cose che influenzano altre persone, molto più di noi stessi. Da una ricerca IPSOS del 2018, il 65% delle persone intervistate in 27 Paesi ritiene che la persona media nel proprio Paese viva in una bolla su Internet, connettendosi solo con persone come loro e cercando opinioni con cui sono già d’accordo.[7] In una felice sintesi di Annamaria Testa questo fenomeno viene letto così: “tutto ciò dà origine a un ulteriore paio di distorsioni cognitive: l’euristica della disponibilità (availability euristic) fa sovrastimare la frequenza dei fatti (negativi) di cui più spesso si ha notizia, mentre il bias di conferma (confirmation bias) spinge a cercare notizie, pareri ed evidenze che sostengono ciò di cui si è già convinti, e soprattutto a ignorare tutto ciò che contrasta con le convinzioni pregresse”.[8]
Il prurito infodemico è un’emergenza sociale per la quale non abbiamo ancora generato i giusti anticorpi e le necessarie medicine.
Altri appunti per la ripartenza, in ordine sparso e poco approfonditi.
CITIES ARE BACK IN TOWN
L’offerta di città sembra seguire prevalentemente strade da tempo note: espansione quantitativa con sensibili incrementi dell’inquinamento e riduzione degli spazi agricoli, gestione della rendita fondiaria, sostegno alle attività economiche attraverso l’uso del suolo urbano, risposta in termini di dotazioni standard per servizi e infrastrutture, organizzazione del mercato immobiliare per residenza e attività produttive.[9] Nella prossima fase di convivenza con il virus, la gestione dei flussi, la modellazione riferita agli scenari della mobilità, gli spazi aperti e l’offerta abitativa, resteranno gli stessi? Occorre porsi da subito questa domanda e adoperarsi per individuare scelte opportune.
NUOVI PROFESSIONISTI DELLA COMPLESSITÀ
Le professioni tecniche possono dare un forte contributo proprio sull’adeguatezza di questa analisi, da svolgere assolutamente nella fase – oggi carente – della pianificazione post crisi.
Inutile ripetere che è proprio dal confronto competitivo delle idee che potranno emergere i progetti innovativi di cui il Paese ha bisogno e, inoltre, gli elementi concreti di sussidiarietà pubblico-privato dai quali far nascere una macchina amministrativa più snella ed efficiente di quella attuale.
La competenza è sinonimo di “capacità personale di assunzione di responsabilità” ed è generata dall’insieme indissolubile delle conoscenze teoriche e l’esperienza professionale maturata sul campo. Non è ricorso a tecnicismi né a posizioni avanguardiste fini a sé stesse; si tratta di un necessario e inderogabile ricorso a quel ‘saper fare’ onesto, verificabile, interdisciplinare, di cui oggi abbiamo tutti estremamente bisogno.
NUOVO UMANESIMO PER LA CULTURA TECNICA
Occorre un vero e proprio nuovo umanesimo per coloro che si occupano di consolidare la cultura tecnica, capace di riattivare la fiducia tra le persone e limitare la burocrazia di alcune procedure e dei format, che rende vittime in primo luogo i cittadini e i professionisti onesti.[10] Ciò significa anche recuperare la centralità della rappresentanza che, per noi, significa dover dare cittadinanza alle paure nel tentativo di scappare dal pessimismo, dalla rabbia. Spesso la presunzione di competenza non è stata sentita dalle persone come importante, come fattore distintivo e positivo; tuttavia la sfida culturale è proprio tornare al principio di competenza per far funzionare le cose, al servizio del Paese.
CONOSCERE E GESTIRE LA VULNERABILITÀ DELLE CITTÀ
Sulla spinta dell’incremento demografico e dell’iperurbanizzazione, le città rappresentano opportunità di sviluppo ma sono anche lo spazio delle potenziali vulnerabilità della contemporaneità. In questa emergenza abbiamo imparato che l’ambito urbano è il terreno utile dove individuare ecosistemi digitali integrati, citizen-centred e user-oriented, che traggano linfa da una stessa data platform urbana, ma che allo stesso tempo siano interoperabili tra le città e sfruttino una curva di esperienza comune delle città.
La città, per come la conosciamo oggi, rappresenta la vera sfida del secolo prossimo venturo: le sue condizioni di vivibilità, di nuovi modelli di infrastrutturazione e degli ambiti di conurbazione, i nuovi modelli partecipativi per il coinvolgimento narrativo degli abitanti e – infine – lo sviluppo di capacità predittiva di scenario per affrontare eventi traumatici e il consueto stress test quotidiano.[11] Sullo sfondo restano le sfide comunitarie già condivise in Consiglio: “la transizione verde (con tutti i provvedimenti del Green deal della Commissione Von der Leyen) e la trasformazione digitale (che significa anche innovazione, ricerca e conoscenza), con in più la tutela della salute (compreso l’annullamento delle disuguaglianze territoriali) e la lotta alla povertà.”[12]
NEL FUTURO, UN’IDEA DI PRESENTE
Emergono dunque molteplici temi tecnici specifici, come: la messa in sicurezza degli edifici pubblici e delle infrastrutture, la mappatura del costruito, la resilienza urbana, la modellazione dei flussi e il ripensamento delle reti per la mobilità, l’intelligenza artificiale applicata all’acqua, la tracciabilità di tutti gli interventi di manutenzione, la progettazione integrata, la capacità complessiva di gestione delle emergenze, l’attrattività dei territori e… tanti altri ancora.
CITTADINANZA PARTECIPATA
L’obiettivo a lungo termine è accorciare ulteriormente le distanze tra il governo della città e i cittadini. Per raggiungere lo scopo esistono ‘patti’ sperimentali, a geometria variabile, che superano il monopolio del potere: dalla consultazione alla deliberazione pubblica, dalle esperienze di co-governance alle pratiche di e-democracy (petizioni on line, referendum, ecc). Le arene deliberative sono utili per condividere il carico dell’impatto potenziale che alcune scelte pubbliche hanno sull’intero sistema locale. Obiettivo è aumentare la consapevolezza delle scelte condivise e creare comunità orizzontali pronte a compattarsi di fronte a emergenze analoghe a quella che stiamo vivendo.
Dopo l’emergenza si dovranno ricucire quartieri, frazioni, spazi reali dove le persone hanno vissuto insieme fino a qualche settimana prima, dove si sono contaminate, dove hanno condiviso lavori, tempo libero. Serve un vero e proprio ‘patto di consapevolezza’ per riscoprire una nuova cittadinanza incentrata sul concetto chiave del ‘NOI’, dove i temi guida sono: salute pubblica, welfare, responsabilità, condivisione. Il linguaggio della politica potrà ridefinirsi (e riqualificarsi) a partire da questa consapevolezza, abbandonando rabbia e frustrazione come unici (e comodi) driver della consapevolezza emotiva collettiva.
Nell’amministrare una città crediamo che si debba giungere a decisioni lungimiranti all’altezza della complessità della società locale, caratterizzata dall’interdipendenza dei diversi elementi che la compongono e dalla vocazione dei territori. Vogliamo puntare sull’intelligenza collaborativa per valorizzare talenti, esperienze positive, creatività sommersa. Sono molte le persone e i gruppi che creano contenuto e possono influire sui comportamenti organizzativi, sui processi e sugli obiettivi. Dalle aziende al volontariato, passando per le scuole, è giunto il momento di puntare sulle comunità diffuse. Mai come in questo momento storico si assiste ad una mutualità di contenuto a partire dalle università, dai centri di ricerca e da alcune aziende che hanno avuto il coraggio di ripensarsi anche in termini produttivi.
PREDITTIVITÀ (QUESTA SCONOSCIUTA)
Gestione dei rischi, predittività degli shock e dei cambiamenti sono azioni necessarie per progettare un futuro più resiliente e capace di anticipare le mutazioni degli stili di vita di ciascuno di noi. Il post Corona Virus ci dovrà abituare a gestire situazioni di grande stress che non avevano considerato prima con il giusto acume: dai trasporti inefficienti, alle condizioni mutate di lavoro, alla famiglia mutante, all’offerta di salute sempre più accentrata nelle grandi città. Altri temi si sono imposti all’agenda politica, non senza isterismi o ingenuità: allagamenti, sversamenti, collasso o inadeguatezza dei sistemi di mobilità, ondate migratorie, carenza di alloggi residenziali pubblici, chiusura di attività economiche, degrado ambientale e dei boschi, innalzamento della temperatura in città. Tutti temi importanti che richiedono una strategia di lungo respiro che traguardi al 2030 con tutta l’intelligenza possibile.
VERSO L’IDENTITÀ DEI LUOGHI
C’è lo spazio anche per difendere l’identità di luogo, mantenendo le sue forme materiali e simboliche. Ogni realtà locale ha una propria ricchezza che si perde nel passato e che deve proiettarsi nel futuro: rispettosi delle interdipendenze che legano i destini degli uni e degli altri. La generazione di paesaggio che garantisca la tutela dell’identità e la riproducibilità culturale può rappresentare un’opportunità. Nell’offerta turistica si deve tornare a valorizzare il suolo, la vegetazione, il clima, i sapori, l’agricoltura. Si deve ricostruire il codice genetico dei luoghi per ripensare le funzioni ecologiche e paesaggistiche comprese l’ospitalità agrituristica con funzioni didattiche e scientifiche. Il paesaggio, da questo punto di vista, ha la capacità innata di favorire sistemi economici locali.[13] Gli intenti della Carta di Gubbio del 1990, presentata dall’associazione nazionale dei centri storici (Ancsa), che propone l’estensione del concetto di salvaguardia e valorizzazione della città storica al ‘territorio storico’, possono essere ora facilmente compresi.
In queste difficili settimane, anche i luoghi di transito e gli spazi abbandonati in città sono diventati risorsa anche agli occhi dei meno esperti, per ricavare luoghi di cura temporanea, transito in sicurezza, momento di svago misurato.
Esistono luoghi ‘spazzatura’ che una goffa gestione pubblica ha consegnato alle nuove generazioni e che oggi devono essere ripuliti, riconvertiti, rigenerati a vita nuova per vitalizzare interi quartieri con nuovi insediamenti sociali e imprenditoriali: da questo punto di vista i vuoti urbani e gli spazi non più utilizzati si offrono come opportunità per ripensare le funzioni del territorio sviluppando nuove sinergie tra pubblico, privato e sociale.[14]
‘Gli immobili iniziano a muoversi’ in presenza di uno sforzo di mediazione intelligente, quando si realizzano più interessi convergenti dei molti attori che sono alla ricerca di una soluzione innovativa.
LA SALUTE PUBBLICA
Investire in benessere per i più deboli, gli anziani, i meno fortunati è il miglior sistema per semplificare la quotidianità e ridurre gli impatti economici della solitudine e della malattia. Basti pensare ai dispositivi per la salute digitale che riducono il ricorso alla grande ospedalizzazione: adozione di strumenti di telesoccorso domestico, percorsi audio per ipovedenti, sistemi integrati di diagnostica in tempo reale. Le aree urbane e quelle poco urbanizzate possono essere attrezzate con sensori, presidi informativi, nuova mobilità (anche assistita) per garantire un nuovo welfare municipale innovativo, anche con il concorso di privati e centri di ricerca.
IL MAGISTERO CIVILE
Ho chiamato questo appunto ‘Un magistero civile per l’appuntamento con il futuro’ perricondurre all’idea di un lavoro non retorico, non ipocrita, non silenzioso, non compromesso di cui occorre preoccuparci per tempo e che coinvolgerà tutti: professionisti, istituzioni, corpi intermedi, cittadine e cittadini. E’ una riflessione iniziale, sulla quale innestare ulteriori affondi e precisazioni ma che scaturisce dal lavoro quotidiano a stretto contatto con aziende pubbliche, importanti brand, utenti di ogni latitudine.
Questo
il mio convincimento finale: nelle agenzie di comunicazione, nei nuovi media,
nelle redazioni e negli staff elettorali, nei vari dicasteri per la
programmazione, questo appuntamento con la nostra vulnerabilità latente dovrà
farci assumere nuovi atteggiamenti, predisporre altri linguaggi, presagire tutti
gli scenari possibili. La nuova socialità che stiamo sperimentando in
questa emergenza, infatti, ha già mutato la percezione dei singoli e forse
tocca mettere mano con maggiore impegno alle nostre agende: lo stato d’animo
del Paese non può attendere oltre.
[1] https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi
[2] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/agenda-digitale
[3] https://agcult.it/a/16546/2020-03-26/dl-cura-italia-cipolletta-cci-bene-governo-e-parlamento-ma-per-cultura-serve-ulteriore-sforzo
[4] Hanno firmato anche Carlo Verdone, Michelangelo Pistoletto, Roberto Bolle, Michele De Lucchi, Carla Subrizi, Giorgia, Roberto Saviano, Alessandro Michele, Antonio Monda, Domenico Procacci, Enrico Rava, Marcello Fois, Diego De Silva – tra gli altri – che si aggiungono a Achille Bonito Oliva, Eleonora Abbagnato, Stefano Accorsi, Manuel Agnelli, Luca Argentero, Marco Bellocchio, Massimo Bray, Ascanio Celestini, Giancarlo De Cataldo, Isabella Ferrari, Nicola Lagioia, Gigi Proietti, Leonardo Ferragamo, Paolo Sorrentino e molti altri ancora. Sono in totale 270 gli esponenti del mondo della cultura che hanno aderito all’appello degli assessori per chiedere al Governo un sostegno immediato per la crisi dovuta al contenimento del Covid-19. Gli assessori alla cultura delle città di Verona, Brescia, Padova, Treviso, Ruvo di Puglia, Venosa, Parma, Forlì, Rovigo, Belluno, Noicattaro, Giovinazzo, Savona, Vicenza, Fabriano, Perugia, Pesaro, Rimini e Trento si sono inoltre aggiunti ai promotori.
[5] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/food-grocery-online-crescita-valore-2019
[7] https://www.ipsos.com/ipsos-mori/en-uk/fake-news-filter-bubbles-and-post-truth-are-other-peoples-problems
[8] https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2018/09/10/italiani-percezione
[9] http://www.inu.it/38677/segnalazioni/scenari-per-leuropa-delle-citta/
[10] https://www.ingenio-web.it/2083-certificazione-qing-valorizzare-la-professione
[11] http://www.gdc.ancitel.it/smart-city-e-sinonimo-di-ecosistemi-digitali-integrati-a-livello-urbano/
Sul tema si veda anche: http://www.almanacco.cnr.it/reader/cw_usr_view_articolo.html?id_articolo=9890&id_rub=32&giornale=9979
[12] https://www.urbanit.it/citta-ruolo-centrale-nel-dopo-coronavirus/?fbclid=IwAR0FJBMK6RVnhbn8ZCpIH4W_LlIGfujJBSOIcJ9sRtnm9K60-QMX8hOxIas
[13] https://www.bollatiboringhieri.it/libri/alberto-magnaghi-il-progetto-locale-9788833921501/
[14]Esempio di analisi del patrimonio urbanistico: https://unaltracittatrieste.home.blog/2020/04/01/il-comune-scopre-i-buchi-neri-non-e-facile-stanare-gl-spettri-di-roberto-dambrosi-anna-laura-govoni-livia-rossi/?fbclid=IwAR2rFNKhUNGBXvCcmYaj_Qmkgw-ORASYJKba89ePC-LvNwyI9eE28jejlD4. Vedasi anche l’immenso lavoro realizzato per la riqualificazione degli scali ferroviari di Milano: http://www.scalimilano.vision/