Benvenuti nell’era dell’attenzione parziale
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Troppe informazioni e sempre meno tempo: tra giornalismo, new media e pubblicità Alberto Contri racconta l’era della Costante Attenzione Parziale
Per venire incontro a questa deconcentrazione diffusa del lettore, i giornalisti realizzano articoli sempre più brevi, sempre meno carichi di riflessione; ed ecco che si entra un circolo vizioso.
Online sta funzionando bene il long form: lunghi approfondimenti su un argomento
Le rispondo con la frase del padre dalla pubblicità David Ogilvy, che sosteneva che per i grandi prodotti funziona sempre meglio un copy lungo che uno corto. Le storie interessanti funzionano sempre. Ci sono alcune cose di base che non sono cambiate, anzi, vanno potenziate.
Quindi esiste un modo per correggere questo circolo vizioso
Secondo me tutto passa attraverso l’educazione delle giovanissime generazioni. Esempio: fino a sette anni non si dovrebbe dare in mano a un bambino un tablet o uno smartphone, bensì sviluppare la scrittura a mano. Oggi purtroppo i nativi digitali non sanno più scrivere: lo so che le coercizioni sono sempre sgradevoli, ma forse stavolta sono necessarie.
C’è una cosa di cui sono convinto, è che il nostro cervello non può diventare digitale: ci ha messo 250.000 anni per diventare quel che è, e ora nel giro di pochi anni si sarebbe modificato?
Lei è da molti anni presidente di Pubblicità Progresso: da qualche anno mi sembra che la Corporate Social Responsability sia diventata strategica
Sì, concordo. Le grandi aziende hanno capito che la CSR non significa mettere zucchero a velo in un torta non proprio dolce, non è il greenwashing, ovvero buttare il colorante sul Po e poi fare una pagina sui giornali che hai restaurato una chiesetta. Quest’anno Audi nell’ultima campagna superbowl parla di parità di trattamento e salario tra maschi e femmine: che non vuol dire “guarda quanto sono buono”, bensì “ragiono di cose che sono importanti per te: parità di genere e acquisto dell’automobile”. Usano il valore sociale perché la gente ne ha bisogno, proprio perché stanno finendo le grandi “agenzie di senso”, il brand non solo diventa una casa in cui rifugiarsi, ma mi dà cose che non mi aspettavo. Sono bravi quelli che riescono a farlo coerentemente con la loro missione
C’è poi anche il tema della reputation delle aziende
Vero, e la reputazione non te la puoi costruire a botte di campagne. Io sono nato a Ivrea e ci ho vissuto fino ai 10 anni, e quindi so perfettamente che Olivetti è stato il vero grande precursore del CSR. La Olivetti produceva buoni prodotti – non per niente macchine da scrivere e personal computer le hanno inventate loro – aveva un’ottima assistenza ai consumatori e soprattutto ai dipendenti, con bici, campi da tennis, mensa e teatro gratuiti. Un paradiso terrestre. Poi sono arrivati i “maghi della finanza” e hanno trasformato quel gioiello in un’azienda che produce cartucce per stampanti. Insomma era già stato tutto inventato, e quindi ora stiamo tornando a quel concetto: non dobbiamo pensare alla CSR come una sovrastruttura, ma come un elemento che fa parte dell’impresa.
Dal suo punto di vista com’è la situazione odierna della comunicazione in Italia?
Mah, guardi, la comunicazione in Italia è sempre vista come una cosa semplice: tutti credono che siccome sanno leggere e scrivere, allora sono capaci di comunicare. Anche nelle grandi famiglie imprenditoriali, il figlio meno riuscito lo mettevano a capo della comunicazione. È sempre stata considerata la figlia di un Dio Minore, ma dall’altro lato molti comunicatori si sono inventati una carriera sul nulla e una competenza senza averla. Per esempio, guardiamo nella politica, questi consulenti di comunicazione, questi Rondolino, Velardi, che si atteggiano a grandi guru, ma che studi hanno fatto? Vedendo anche le ultime storie di Renzi e il Governatore di Bankitalia, ma anche Maroni e il referendum. Io mi chiedo, chi consiglia a questi come comunicare?
La corsa al tweet e al titolone è una tragedia. Anch’io che sono Ariete ho imparato a respirare 10 volte prima di parlare, e pur nella mia capacità creativa, di cazzate ne ho dette tante anch’io. Ma nella politica italiana non vedo una strategia, che invece aveva addirittura Trump nella sua campagna elettorale.
Creatività, tecnologia e tempo libero. Il tempo cambia in base ai periodi, persone e circostanze.
E’ sempre e solo una questione di tempo. Si tratta di un concetto che ho espresso più volte, ma credo che sia alla base di ogni riflessione o ragionamento. E non solo per quanto riguarda la tecnologia. Ma partiamo da questa, che poi è il tema che contraddistingue i nostri scritti.
La concezione del tempo cambia a seconda dei periodi, delle persone e delle circostanze. Nel 1969 per andare da Roma a Milano in treno occorrevano circa sei ore. Il treno veniva definito rapido. Oggi, con il Freccia Rossa, ci si impiega meno della metà. Con l’auto, invece, percorrendo l’autostrada, la durata del viaggio rimane più o meno la stessa di circa 40 anni fa.
La sensazione che il tempo passi velocemente o meno è data anche dall’ambiente. Se facciamo un bel lavoro il tempo passa velocemente. Viceversa, il tempo non passa mai. Se, ad esempio, assistiamo a un bel concerto, il tempo acquista un valore diverso e sarà difficile paragonare quelle ore trascorse ad ascoltare musica rispetto allo stesso periodo di tempo necessario per svolgere un’attività più noiosa.
Ma questo cosa c’entra con la tecnologia? C’entra molto, considerando che oggi, grazie ai mezzi di comunicazione sempre più sofisticati, riusciamo a fare molte più cose in tempi decisamente ridotti rispetto al passato. Ma tutto ciò ci rende più felici? Prendiamo i telefonini. Grazie a WhatsApp, a Facebook e ad altri social, siamo in continuo contatto con altre persone, amici o conoscenti che definiamo amici. Le nostre prospettive sono cambiate. Così come i nostri sentimenti. Il nostro sguardo è sempre rivolto in basso, sul display del cellulare o del tablet. E i nostri rapporti sono sempre più virtuali.
In questo panorama mi ha colpito molto un libro scritto da Paolo Crepet, dal titolo Baciami senza rete, Mondadori. Il volume nasce da una scritta apparsa su un muro di Roma: “Spegnete Facebook e baciatevi”. Parole che sintetizzano nel migliore dei modi l’epoca in cui stiamo vivendo. Nessuna accusa contro la tecnologia, ci mancherebbe. Non lo ha fatto neppure l’autore del libro in questione. La tecnologia è utile, fondamentale, facilita le nostre vite in molti campi. Tuttavia è necessario fermarsi a riflettere su quegli aspetti che stanno modificando così tanto le nostre esistenze per comprendere e affrontare questa fase di cambiamenti e di transizione affinché si utilizzi nel miglior modo possibile il tempo a disposizione. Il tempo, appunto.
Visto che grazie alla tecnologia riusciamo a fare molte più cose nello stesso lasso di tempo, vale la pena dedicare più ore allo svago, alla distrazione. Distrarsi fa bene alla salute e alla creatività. E’ quanto sostiene Michael C. Corballis, un professore di psicologia dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, autore del libroLa mente che vaga, edito da Raffaello Cortina. Senza distrazione non c’è pensiero, sostiene Corballis. In fondo è quello che diceva anche Steve Jobs, ovvero, essere creativi significa vedere qualcosa che fino a quel momento non c’era. E allora, scrive Corballis, la distrazione diventa una speciale forma di concentrazione. Perché la mente non si ferma mai.
La distrazione, lo svago, l’ozio. Di ozio creativo parla Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma. Esiste una prospettiva diversa, scrive De Masi, che ci può guidare fuori dallo smarrimento dei nostri tempi. Una prospettiva che il professore definisce Una semplice rivoluzione, che è anche il titolo del suo libro. Nel momento in cui la tecnologia è entrata così prepotentemente nelle nostre vite, rendendoci raggiungibili ovunque, dagli amici, dai nemici, localizzati attraverso i cellulari e altri dispositivi a cui affidiamo memoria, senso di orientamento, tempo libero e rapporti con le persone, non sarà il caso di staccarsi ogni tanto per recuperare quella parte di tempo che ci è stata tolta?
Non si tratta di essere avversi al progresso tecnologico. Non siamo come i Greci che nella antica Atene disponevano ciascuno di otto schiavi che in pratica si occupavano di tutto. Del resto, era chiaro che avanti così non si poteva andare e prima o poi quella pacchia doveva finire. Tuttavia è proprio dal tempo libero che nasce la civiltà, come sosteneva il grande filosofo russo Alexandre Koyré. Oggi quasi il 70 per cento della popolazione attiva lavora più con il cervello che con le braccia. La compresenza in molti casi non è più necessaria, e per i lavoratori intellettuali è sempre più difficile scindere il proprio mestiere da quello che viene definito ozio creativo.
Essere creativi è un istinto, e proprio l’ozio fa scattare la scintilla, l’idea, accende la lampadina che illumina la mente. Molte aziende nella Silicon Valley mettono a disposizione dei propri dipendenti sale relax, ambienti destinati al gioco, al divertimento, allo sport, per rendere più attraente il lavoro ma soprattutto per abbattere la barriera tra attività e tempo libero e per sollecitare la mente a nuove e sempre più utili invenzioni. La riconquista del tempo, paradossalmente, valorizza ancora di più le opportunità offerte dalla tecnologia. E organizzare nel migliore dei modi le proprie giornate rappresenta una delle principali sfide del futuro.