Il VERO-FINTO E LA REALTÀ ESPANSA
La FaceApp Challenge, quel contest partito nelle settimane centrali di luglio 2019 e che ha visto molti di noi impegnati nel fotografarsi e condividere i propri volti manipolati da un software, è stata talmente coinvolgente che molti altri di noi hanno deciso di reagire e di contro-argomentare. Magari cavalcando l’onda del newsjacking.
Tra questi, alcune marche tra cui anche l’immancabile Taffo – l’azienda di onoranze funebri ormai celebrity – che con ironia ha commentato in alcuni suoi tweet di non esagerare con questa nuova smania dell’invecchiamento.
In mezzo a tanto rimbalzarsi di post, tweet e immagini ha avuto un certo eco anche la campagna
“Stay original” di Nivea – additata come esempio di real time marketing e presa di posizione – che è circolata su diversi social media: da Facebook a Twitter, persino Linkedin.
L’avete vista, no?
Personalmente, mi è capitato di intercettarla prima sul mio profilo Linkedin e poi su quello Facebook. Lì per lì mi aveva colpito il modo apparentemente up to date dell’azienda di utilizzare la FaceApp Challenge come evento socialmente rilevante di contro-argomentazione reputazionale.
La maggior parte dei miei contatti era in visibilio per questa campagna, tra cui molti esperti di comunicazione. Anche io ero sulla soglia del commento positivo e della condivisione entusiasta. Ma c’era qualcosa che mi tratteneva dal farlo. Sapete quando avete quel sentore di “qualcosa non quadra”.
E siccome ormai ho imparato – anche a mie spese – che tutto quello che osserviamo nella nostra esistenza onlife può essere vero-finto, mi sono preso qualche minuto di approfondimento. Sono andato sui profili social ufficiali di Nivea Italia e non c’era traccia della campagna. Così come non c’era traccia sui diversi siti di advertising che di solito riportano campagne innovative.
Nel mio “giro in giro” ho però notato che alcuni utenti condividevano questa card visiva non solo con il brand sotto a destra ma anche con una firma in alto a sinistra:
Di chi era? Forse che la firma nella card era stata tagliata, omessa o ri-sagomata nei diversi passaggi onlife? Questo mi ha quindi insospettito.
Così ho rifatto il giro sui profili ufficiali dell’azienda, stavolta in Europa, e in effetti Nivea Espana dava una traccia – su Twitter – dichiarando:“Nel Team Nivea in questo momento siamo così. Questo sì che è iniziare la giornata con umorismo. Grazie di cuore ai nostri utenti per essere stati così creativi e per averlo condiviso con noi. Senza dubbio, hai tirato fuori un sorriso”.
Ecco fatto. Ero di fronte al vero-finto nella sua espressione compiuta.
Una campagna non ufficiale vissuta dai diversi pubblici europei, e non solo, come autentica. Non la “realtà specifica” di un gesto pubblicitario pensato dall’azienda ma la “realtà espansa” di un percepito pubblico immaginato da un singolo individuo, diventato – per un momento – detentore e driver del racconto di marca.
Pochi minuti ancora ed ero sulla pagina Facebook del designer che aveva creato questo unofficial ads: l’artista visivo Hamza Haddam – il quale ricordiamolo: aveva comunque firmato il visual originale, cancellato ed omesso poi da chissà chi, nei vari passaggi mis-informativi della rete.
IL MARKETING DEI FATTI ESTESI
La vicenda della unofficial ads di Nivea ci mostra che non possiamo farci più nulla.
Viviamo in un tempo di messa in scena del reale in tutti i settori: politico, economico, commerciale. E sempre più spesso – in questa attività di costruzione della verità collettiva (per approfondire vedi qui e qui) – sono le audience a compiere operazioni di marketing esteso – al di là della ownership aziendali e/o politiche.
Oggi in qualità di pubblici viviamo in un nostro “campo di realtà”, sempre più portato dai media mobili. All’interno di questo campo di realtà vediamo accadere fatti che non possiamo verificare (non ne abbiamo il tempo e le risorse) e che percepiamo automaticamente come veri, oggettivi, realistici. Anche quando non lo sono.
Questi fatti non sono più semplici accadimenti lineari che possiamo constatare con i nostri occhi e la nostra esperienza diretta – nell’esempio riportato: c’è un presunto post promozionale on line di una azienda – ma possiamo definirli fatti estesi perché nel vero-finto estendono la loro pertinenza. Non sono completamente oggettivi ma – incontrando le convinzioni soggettive dei pubblici – lo diventano.
I fatti estesi infatti non hanno nulla a che fare con l’esperienza diretta ma con l’adesione consensuale del possibile accadimento alle nostre credenze (per approfondire vedi qui). Possiamo misurarli e valutarli in termini di:
- rilevanza: quanto il fatto è importante per chi lo vive (nel nostro caso: quanto è rilevante che una azienda o una istituzione racconti “temi caldi” per i pubblici e non suoi freddi key-message?)
- posizionamento sociale: come il fatto si colloca nel dibattito socio-culturale di una collettività (nel nostro caso: quanto è importante vedere che una azienda o una istituzione contrasta una moda potenzialmente nociva?)
- attualità valoriale: come il fatto aderisce o meno al senso del vissuto attuale di una comunità ed esprime i valori di quel collettivo (nel nostro caso: come l’azienda o l’istituzione si fa percepire “vicina” alle vite e ai valori concreti dei pubblici?
Così abbiamo voluto credere che Nivea abbia trattato un tema caldo, contrastando una moda forse pericolosa, facendosi sentire attenta ai valori della nostra attualità sociale.
Nel momento in cui molti di noi hanno condiviso quella card, non aveva nessuna importanza che l’autore fosse Hamza Haddad, era rilevante solo sentirsi parte in causa dell’espressione di una narrazione di marca che ci piaceva e coinvolgeva. E a cui aderivamo valorialmente. Anche adesso molti di quelli che hanno condiviso quella card rimarranno convinti del gesto fatto.
CREDENZE E DEEP MEDIA
È questa la potenza del marketing dei fatti estesi. E a questa potenza – come marketer, comunicatori, e giornalisti, ci dobbiamo risvegliare, imparando a gestirla e – se necessario – smascherarla.
Il marketing dei fatti estesi – sia in economia che in politica – si basa e si baserà sempre di più sull’espansione e gestione delle nostre credenze e percezioni. Così come la stessa FaceApp Challenge ci ha dimostrato: crediamoci e percepiamoci più vecchi o più giovani … vediamo cosa succede, se estendiamo la nostra percezione oltre il tempo attuale; saremo più belli o più brutti?
Sappiamo che è un gioco, ma è un gioco che ha conseguenze reali nelle nostre vite, perché qualcuno ha preso dati-biometrici dai nostri volti. E noi glieli abbiamo regalati.
Con l’Artificial Intelligence, l’Internet of Thing e i nuovi device di realtà aumentata non potremo più basarci sul motto cartesiano del: “crediamo solo in quello che possiamo vedere, sperimentare e toccare”. Perché i deep media truccano il tavolo e amplificano e modificano costantemente il nostro reale. Tutto diventa ri-toccatto, ri-sperimentato, ri-formulato, ri-sentito, ri-pensato in un costante processo di oggettività-soggettività, o se volete: concretezza-finzione.
In questo senso, quale è il valore oggi di un brand se possono concorrere a costruirlo gli stessi pubblici in operazioni di marketing esteso?
Così, le nostre credenza diventano e diventeranno sempre di più la nuova frontiera su cui misurarci e sfidarci tutti. E chi saprà estendere i fatti – in economia come in politica (e già lo vediamo) – avrà una grande responsabilità nei nuovi territori della comunicazione presente e futura. Non possiamo più credere in quello che vediamo. Piuttosto dobbiamo essere consapevoli che è quello che vediamo che ci porta a credere.