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Tra i concetti chiave che ci permettono di indagare la società contemporanea, quello di reputazione sembra essere tra i più rilevanti. «Si tratta del primo asset intangibile per aziende, ong, istituzioni pubbliche, politici, sportivi e influencer» spiega Luca Poma, professore in Reputation Management all’Università Lumsa di Roma e a quella della Repubblica di San Marino. Per questo, assieme a Giorgia Grandoni e Alessio Garzina, Poma è l’autore del testo “Crash reputation: 50+1 casi di crisi reputazionali da Armani a Dazn, da Nike a Ryanair, gli errori che hanno pregiudicato il valore di aziende e influencer”. Libro che verrà presentato domani alle 17,45 allo Spazio Incontri del Polo del ’900. Dopo i saluti del presidente del Polo Alberto Sinigaglia e del presidente dell’Unione Industriali Marco Gay, spazio ad avvocati, docenti e ricercatori che racconteranno il tema della reputazione da diverse prospettive. A moderare l’incontro il vicedirettore de La Stampa Gianni Armand Pilon.

Tra gli equivoci in cui non cadere, la confusione tra la reputazione e «il concetto effimero di immagine – continua Poma – legato al mondo della pubblicità e del marketing». La reputazione vera e propria, invece, è quella «costruita nel medio-lungo periodo e centrata sulla propria identità, su ciò che si fa, non su ciò che si racconta agli altri di se stessi per migliorare la percezione che hanno di noi». Ma è dal disallineamento tra ciò che siamo e il modo in cui ci rappresentiamo che nasce la maggior parte delle crisi reputazionali, «che sono all’ordine del giorno». Eppure, quando si parla del tema, una sola regola vale più delle altre: «Il solvente è la capacità di saper chiedere scusa: saper guardare il pubblico negli occhi, capire i propri errori e impegnarsi a cambiare. Prevenire è meglio che curare».

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