Sostenibiltà come fattore di risk management: analisi del caporalato nella Moda
La Sostenibilità, la reputazione aziendale e le filiere produttive: le recenti accuse di caporalato e sfruttamento nei confronti di importanti Maison della Moda

La Sostenibilità, la reputazione aziendale e le filiere produttive: le recenti accuse di caporalato e sfruttamento nei confronti di importanti Maison della Moda

Negli ultimi tempi si sono accesi i riflettori su importanti e famose Maisons, ma non per i loro abiti o sfilate, ma per le accuse di caporalato e sfruttamento del lavoro nel ciclo produttivo, a seguito di indagini svolte dal Tribunale di Milano.
L’Autorità Giudiziaria ha sostanzialmente rilevato una “incapacità” a prevenire ed arginare fenomeni di caporalato e/o sfruttamento lavorativo lungo la loro catena di fornitura, nonchè ad assumere idonee misure atte a verificare le reali condizioni lavorative adottate dalle aziende fornitrici.
Le vicende di questi Marchi della moda, famosi nel mondo, nonchè i provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, mettono sotto la “lente di ingrandimento”:
Ecco perché:
(a) le aziende, gli investitori, ed anche i cittadini, continuano a sostenere con forza la Sostenibilità ed il suo set regolamentare e perchè
(b) la Sostenibilità, laddove effettivamente e sostanzialmente[1] integrata nelle aziende, è l’unica Risposta possibile, pure per tutelare la reputation aziendale, così riconoscendo la giusta valenza al c.d. rischio reputazionale.
Alla luce di quanto sopra, appare opportuno rilevare, nonostante la Sostenibilità sia al centro di una importante discussione politica a livello europeo, la prospettiva di coloro che sono interessati al set normativo di riferimento, principalmente ci si riferisce alla CSRD ed alla CSDDD.
Un recente sondaggio commissionato dal Think Tank E3G a YouGov[2]mostra come la maggior parte delle aziende europee sostenga norme rigorose in materia di Sostenibilità, considerandole essenziali per la competitività e gli investimenti.
Le aziende “interpellate” palesano un forte sostegno a norme rigorose in materia di Sostenibilità aziendale e Due Diligence, anche attraverso le opinioni dei Leader aziendali, in netto contrasto con le molte proposte attualmente in fase di negoziazione nell’ambito del pacchetto Omnibus sulla scorta di un concetto ben preciso:
Come ha affermato Porter già nel 1985 la c.d. value chain di ciascuna impresa è così estesa da andare oltre i confini stessi di essa azienda: «(..) Il valore viene creato non solo dalla singola impresa della filiera, ma da tutte le altre organizzazioni economiche collegate a monte e a valle con essa e tra loro (..)»[4]
Pertanto:
(a) la supply chain è centrale per un’azienda, ma quest’ultima deve essere consapevole che le catene di fornitura (in ogni settore) il più delle volte sono frammentate e coinvolgono nel processo di produzione molteplici entità operanti in maniera indipendente, sulle quali vengono scaricate le esternalità negative;
(b) la gestione Sostenibile della filiera, allora, diventa un must have, poiché significa, per l’azienda, porre in essere una gestione caratterizzata:
E’ questa l’unica Risposta possibile ai casi di caporalato e sfruttamento che in questi giorni sono al centro dell’attenzione mediatica perché riguardano Maison della moda rinomate, ma che si verificano anche in altri settori merceologici (per es. il Food ecc) coinvolgendo filiere di aziende meno note.
Non vi è alternativa: è oramai un imperativo categorico per un’azienda orientarsi verso una Gestione Sostenibile della filiera
E milita per la tempestività di una tale scelta, per esempio, il terzo Rapporto[5] dell’Osservatorio Italiano Imprese e Diritti Umani (OIIDU) presentato a Milano il 10 giugno 2025, che analizza il comportamento delle grandi imprese di produzione nella filiera agro-alimentare e di quelle della distribuzione organizzata (GDO). Secondo le imprese intervistate ed il Rapporto citato:
(a) la CSRD e la CSDDD porteranno man mano una sempre più stringente richiesta di informazioni da parte delle imprese della GDO;
(b) la GDO dovrebbe “giocare” un “ruolo educativo”, privilegiando i prodotti più Sostenibili sugli scaffali;
(c) le aziende del settore dovrebbero prendere in considerazione le Linee Guida OCSE-FAO (sviluppate tra il 2013 ed il 2015 ed approvate nel 2016) per la “creazione”/”trasformazione” di catene di fornitura agricole Responsabili e Sostenibili, nelle quali è previsto uno schema di due diligence sul rischio composto da cinque (5) Fasi ovvero:
(d) le aziende del settore dovrebbero sviluppare una mappatura completa delle filiere;
(e) la comunicazione ai consumatori deve essere credibile e focalizzata su aspetti materiali e verificabili;
(f) la GDO dovrebbe rafforzare il presidio interno sui temi della Sostenibilità, investendo nella formazione degli uffici acquisti, coinvolgendo le imprese agroalimentari in iniziative valorizzate verso i consumatori e promuovendo il c.d. co-branding di prodotti Sostenibili;
(g) la GDO dovrebbe adottare il principio del giusto prezzo per fornitori in filiere a rischio.
Si è accennato al Supply Chain Management per favorire l’integrazione della Sostenibilità nelle filiere produttive e di seguito appare opportuno svolgere brevi argomentazioni al riguardo.
Alla base del Supply Chain Management vi è la prospettiva di considerare decisioni, flussi ed impatti non solo a livello di singolo attore economico, ma anche di relazioni inter-organizzative con fornitori, clienti e partner di filiera.
Detta prospettiva è da considerarsi, anche alla luce di quanto si è detto fin qui, imprescindibile per ogni azienda per ben tre ordini di motivi:
D’altra parte, i flussi, le decisioni e gli impatti non possono essere più considerati con riferimento ad una singola entità e/o soggetto economico, ma vanno “valutati” nell’ottica appunto della filiera, atteso che ogni singola azienda intrattiene molteplici relazioni inter-organizzative con fornitori, clienti, partner, clienti di clienti, partner di partner ecc.
Ergo occorre andare al di là dei singoli “confini giuridico-organizzativi” ed avere la consapevolezza che ciascun attore della filiera altro non è che una tessera di un domino, per cui la “caduta” anche di una sola “tessera” può far cadere e/o spostare altre tessere o tutte le tessere.
Siamo di fronte ad un cambio “copernicano” di prospettiva che, senza ombra di dubbio, è applicabile/aiuta/è chiave di lettura strategica nel contesto della Sostenibilità, sia sul piano fattuale che sostanziale.
Di più il Supply Chain Management, in abbinamento con la Sostenibilità, fa sì che ogni azienda possa comprendere, governare e gestire tutte le relazioni tra gli attori della filiera, dall’approvvigionamento delle materie prime fino alla distribuzione dei prodotti/servizi e viceversa, ovvero comprendendo anche i processi inversi cioè le attività di recupero dei prodotti ecc in una logica di “ciclicità”.
Va precisato che «(..) l’interesse più stringente per una sostenibilità in ottica di supply chain management non è sulle singole attività o sui singoli soggetti che garantiscono requisiti di sostenibilità in punti specifici della filiera, quanto piuttosto su una più completa sostenibilità che si declina in modo multidimensionale e integrato nell’ambito dell’intera supply chain (..)»[6]
Ergo, lungo la filiera occorre necessariamente “creare” (e “mantenere”) un “clima” di collaborazione sinergica e fattiva a tutti i livelli, ovvero a livello progettuale, come pure a quello gestionale ed operativo, coinvolgendo anche gli “elementi” della rete logistica, segnatamente i nodi o punti, gli archi o segmenti e soprattutto le interfacce o congiunzioni, poiché è in quei “punti di contatto” che avviene, normalmente, un passaggio di responsabilità.
Ma non basta, perché la prospettiva del Supply Chain Management ha compiuto “un passo in avanti” in quanto ha «(..) incorporato l’approfondimento specifico sulla gestione della liquidità lungo la filiera, attraverso lo sviluppo di soluzioni inter-organizzative per la gestione del capitale circolante, generato dall’attività operativa o dagli investimenti correnti, facendo leva sul ruolo che ciascun attore economico ricopre all’interno della supply chain in cui opera e sulle relazioni con gli attori della filiera (..) Tale approfondimento si riferisce agli studi di “Supply Chain Finance” – SCF (..) soprattutto nella prospettiva che prende in considerazione anche gli aspetti fisici del capitale circolante, ovvero le scorte (..)»[7].
E questo è accaduto perché si è sostanzialmente “materializzata” una forte sinergia fra la disciplina di Supply Chain Management e quella della Finanza, il cui output, se così volgiamo dire, è appunto la Supply Chain Finance, i cui studi propongono soluzioni inter-organizzative per la gestione del capitale circolante di filiera finalizzate ad una migliore gestione del rischio ed a una maggiore resilienza delle filiere e degli attori delle filiere, dapprima in termini economico-finanziari, ma successivamente financo considerando gli aspetti di Sostenibilità sociale ed ambientale.
Ne sono prova gli studi[8] più recenti al riguardo che “parlano” di Sustainable Supply Chain Finance (n.d.r. acronimo SSCF) nel cui perimetro si ricerca l’equilibrio tra gli aspetti della c.d. Triple Botton Line, nota anche con l’acronimo TBL[9], poiché le tre dimensioni della Sostenibilità devono muoversi insieme.
In questo quadro, si rinviene la nuova “funzione approvvigionamento” (n.d.r. viene superata la “vecchia” “funzione acquisti”) propria di ogni tipologia di azienda, dalla grande alla piccola, che impatta in maniera rilevante nel processo direzionale, intriso dei Fattori ESG e consapevole della complessità e variabilità del contesto in cui opera ogni impresa nel tempo che stiamo vivendo.
Detta funzione approvvigionamento porta con sé, “mettendo in soffitta” il tradizionale “scambio transazionale”, il più evoluto “scambio relazionale”, formalizzato dagli studiosi dell’Industrial Marketing and Purchasing Group[10], che diviene fondamentale per il raggiungimento della Sostenibilità delle filiere.
Questa evoluzione comporta la definitiva archiviazione della figura del “gestore di forniture” e l’introduzione del “gestore di fornitori”, il quale dovrà altresì procedere alla selezione di detti soggetti non basandosi esclusivamente sul criterio del “risparmio dei costi”, poiché l’attenzione eccessiva al costo e/o al prezzo può innescare effetti negativi.
Il citato criterio resta sì importante, ma dovrebbe essere affiancato da altri aspetti, ovvero da un ventaglio di parametri di valutazione, altrettanto rilevanti, con impatti positivi apprezzabili nel medio-lungo periodo[11], anche in termini ESG con la finalità di “abbattere” financo i rischi di incorrere e/o rinvenire lungo la filiera fenomeni di caporalato e sfruttamento.
In questa maniera, a ben vedere, l’azienda può pure “lavorare” sulla “gestione” del c.d. rischio reputazionale, spesso poco considerato e/o meglio sottovalutato, dalla Governance, tenuto conto che fatti come quelli ricordati in Premessa, comportano un danno reputazionale, definito dal Prof. Luca Poma, nella sua intervista[12] , «incalcolabile», poiché tali vicende distruggono valore.
In conclusione, per quanto si è fin illustrato, appare evidente che la Sostenibilità, con i suoi “strumenti”, è l’unica contromisura possibile ai fenomeni di caporalato e sfruttamento lungo la filiera produttiva, conseguentemente è auspicabile che sempre più aziende si orientino per favorire filiere Sostenibili al di là degli obblighi normativi, nella consapevolezza che la Sostenibilità della supply chain è una scelta strategica irreversibile, la quale, oltre tutto, favorisce una più attenta tutela della reputation aziendale.
[1] n.d.r. Gli avverbi “effettivamente” e “sostanzialmente” vengono utilizzati per indicare che la Sostenibilità va integrata in maniera sostanziale, poiché i suoi “obbiettivi” e/o “principi” non possono essere “raggiunti” e/o “applicati” a mezzo di format e/o excel e/o qualsivoglia altra tipologia di documentazione compilata “formalmente” e “svogliatamente” con il solo fine di “rispondere a quesiti” e/o per “allegare qualcosa” al bilancio o ancora per fare marketing. La Sostenibilità è “qualcosa” di molto più “intimo” e “serio”, orientato a perseguire goals ad alto valore aggiunto per un “mondo migliore per tutti”, quali per esempio evitare che si verifichino casi di caporalato e/o di sfruttamento lavorativo.
[2] v. https://www.e3g.org/wp-content/uploads/E3G_-YouGov-Survey-Results.pdf
[3] n.d.r. L’avverbio “effettivamente” viene utilizzato per indicare che la Sostenibilità va integrata in maniera sostanziale, poiché non può essere “raggiunta” a mezzo di format e/o excel e/o qualsivoglia altra tipologia di documentazione compilata “formalmente” e “svogliatamente” con il sono obiettivo di “rispondere a quesiti” e/o per “allegare qualcosa” al bilancio o ancora per fare marketing. La Sostenibilità è “qualcosa” di molto più “intimo”, altresì orientato a perseguire “obiettivi” ad alto valore aggiunto, quali per esempio evitare che si verifichino casi di caporalato e/o di sfruttamento lavorativo.
[4] così Cozzolino A, Supply Chain Finance per una sostenibilità di filiera. Idee ed esperienze in ottica di supply chain management, San Giuliano Milanese (MI), 2024, p. 11
[5] v. https://avanzi.org/wp-content/uploads/2025/06/terzo-report-OIIDU.pdf
[6] così Cozzolino A., op cit., p. 13
[7] così Cozzolino A, op. cit., p. 14
[8] In tal senso ex plurimis Jia F, Zhang T & Chen L, Sustainable Supply Chain Finance: Towards a research agenda. Journal of cleaner production, 2020, 243, 118680
[9] n.d.r. la c.d. Triple Botton Line è un framework, ideato e divulgato da John Elkington (pioniere del movimento per la Sostenibilità globale) nel 1994, che ruota attorno alle c.d. tre “P” ovvero Persone, Pianeta e Profitto: massimizzando tutte e tre le Botton Lines le organizzazioni hanno maggiori probabilità di avere un impatto positivo sul mondo, migliorando al contempo le prestazioni finanziarie.
[10] c.f.r. Hakansson H & IMP Project Group, International Marketing and Purchasing of Industrial Goods: An Interaction Approach, John Wiley & Sons, 1982
[11] In tal senso Massaroni E, Cozzolino A, Modelli della produzione industriale, Padova, 2012
[12] v. Nasti R, Sfruttamento, dopo Armani tocca a Tod’s: “Il danno rischia di essere incalcolabile. E il prezzo lo pagheranno i piccoli investitori”, intervista al Prof. Luca Poma, www.affaritaliani.it, 8 ottobre 2025
