La nuova dittatura dell’algoritmo riscrive i processi della creatività
Il 10% del budget media viene destinato alla sperimentazione per presidiare simultaneamente tutte le piattaforme

Il 10% del budget media viene destinato alla sperimentazione per presidiare simultaneamente tutte le piattaforme

Altro che limpida e trasparente. Un rubinetto dal quale sgorga acqua torbida diventa la metafora del mondo contemporaneo inquinato dalle fake news nel tempo dominato dall’intelligenza artificiale. È una visione apocalittica quella dell’agenzia Reuters, che dopo ben 175 anni – e per la prima volta nella sua storia – decide di lanciare la prima campagna pubblicitaria. Il film combina tecniche di produzione cinematografica con l’intelligenza artificiale generativa e arriva in un momento in cui le organizzazioni giornalistiche si trovano ad affrontare crescenti sfide sull’informazione inquinata da artefatti sintetici. Così nella campagna l’AI viene utilizzata per distorcere e offuscare le immagini che vengono poi contrapposte a quelle nitide dei reportage. Per il Reuters Institute Digital News Report 2025 oltre la metà del campione intervistato a livello globale ha dichiarato di essere preoccupato per le notizie che legge online siano vere o false. Una difficoltà elevata in America, dove il 73% del campione condivide queste preoccupazioni.
L’elefante è nella cristalleria, sintetizzano gli analisti. «L’intelligenza artificiale amplia ciò che il marketing può misurare e creare, se progettato con rigore sperimentale». È quanto ha riportato l’Harvard Business Review, in un pezzo dal titolo evocativo: «Come l’AI sta trasformando il mercato». Quello che ne viene fuori è un nuovo perimetro strategico e operativo. «Nel prossimo decennio l’AI influenzerà il modo in cui i professionisti del marketing interagiranno e comunicheranno coi clienti con nuovi prodotti e servizi», argomentano i ricercatori del Journal of the academy of marketing science. Perché emergono nuovi canali, formati innovativi e formule relazionali che sparigliano le carte rispetto al passato. Così per i brand l’AI funge da volano di creatività.
Lo evidenzia la nuova indagine condotta dal centro di ricerca X.ITE dell’Università Luiss per Digital Angels e presentata in anteprima sul Sole24Ore. Tecnologia, mercato e organizzazioni stanno trasformando ecosistema e filiera. Realizzata su un campione di 100 leader aziendali e 400 consumatori, evidenzia come l’AI stia cambiando la progettazione e ridefinendo i parametri della produzione di contenuti pubblicitari. Un cambio di paradigma che incide sulle campagne, ma anche sul capitale umano e sui processi. «L’AI guida il futuro della comunicazione, con un impatto superiore a quello generato fin qui dagli influencer e dai formati immersivi e rappresenta un supporto fondamentale nella creazione di contenuti personalizzati, utile anche per aumentare la precisione del targeting e per ottimizzare la pianificazione delle campagne. Di fatto aiuta il management combinando automazione, creatività generativa e targeting predittivo per lo sviluppo di campagne ottimizzate in tempo reale», afferma Marco Francesco Mazzù, Direttore X.ITE Research Center e professore di marketing alla Luiss Business School.
Quello che si definisce è una relazione aumentata tra brand, agenzie e pubblici connessi. «Emerge un equilibrio nuovo: meno interruzione, più rilevanza. La frammentazione dei mezzi ha ridotto l’attenzione e imposto una comunicazione più mirata. Le tecnologie predittive consentono di personalizzare messaggi e momenti, ma servono visione e responsabilità per usarle bene. L’intelligenza artificiale ha reso accessibili risultati un tempo riservati a team esperti, ma ha anche livellato la qualità: per questo è sempre più importante interpretare gli obiettivi, guidare con la testa e saper fare davvero la differenza», afferma Piermario Tedeschi, managing director di Digital Angels e professore di digital marketing all’Università Luiss.
Emerge così che fino al 10% del budget media viene destinato alla sperimentazione. Una propensione più elevata tra le realtà che adottano strategie data-driven. «Negli ultimi anni abbiamo visto una forte frammentazione dei canali: i mezzi offline si sono in parte digitalizzati, mentre l’ecosistema online si è arricchito di nuove piattaforme accanto ai grandi hub tradizionali. TikTok per il social e-commerce, Amazon nel retail media, Spotify per l’audio advertising, influencer marketing e programmatic stanno crescendo rapidamente. Gli investimenti digitali garantiscono ritorni più immediati, ma l’offline resta centrale per copertura e frequenza. È l’equilibrio tra i due che massimizza il risultato», dice Tedeschi.
Intanto i brand sperimentano utilizzi che estendono la creatività. In America Nike ha sviluppato un sistema AI a tre livelli per analizzare dati soci-comportamentali e generare contenuti personalizzati. In Australia Mars è riuscito ad analizzare i segnali di acquisto, navigazione, streaming e ha incrociato i dati per dialogare direttamente con il cliente. In questo caso l’AI non è solo creativa, bensì operativa. È il trionfo della simultaneità che si contrappone a modelli di linearità. «L’ecosistema media è caratterizzato dalla moltiplicazione dei contenuti e dei punti di accesso, da percorsi di consumo non lineari e dall’utilizzo simultaneo di più dispositivi. La competizione non riguarda più solo la quantità ma anche la qualità dell’attenzione, variabili, queste, che incidono direttamente sul valore dei media e sulle performance di marca. L’adozione di metriche basate sull’economia dell’attenzione, in aggiunta a metriche più classiche, diventa cruciale per comprendere capacità di concentrazione e reale impatto dei messaggi», conclude Mazzù.
In un mondo distratto occorre andare oltre l’effetto wow. Ci prova la campagna di Bmw «Real, For Real», che ha indagato il sovraccarico di contenuti generati dall’AI, proponendo l’autenticità come valore differenziale e posizionamento. Sorprendere nel tempo con costanza e con pazienza. Perché dimostrare di essere vicini al cliente è ancora il modo migliore per intercettare la sua lealtà. Lo sostiene anche William Higham, autore del bestseller «The next big thing»: «Quali brand sceglieranno i consumatori? Quelli disposti ad aiutarli!»
