Costa Concordia: è affondata solo la nave?
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Dopo il fortissimo impatto emotivo iniziale, a distanza di tre settimane in molti si chiedono se al largo dell’Isola del Giglio ad affondare non sia stata anche la credibilità di Costa Crociere. Quale storia la compagnia di navigazione ha raccontato al mondo tramite i mass-media? Un contributo al dibattito nella cronaca del tentativo di un salvataggio d’impresa.
di Luca Poma (1)
Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione:
bastano 5 minuti per rovinarla.
(Warren Buffet)
La tragedia della motonave “Costa Concordia” al largo dell’Isola del Giglio, avvenuta nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 gennaio 2012, è e resterà uno degli eventi più dolorosi sul piano umano, economico e reputazionale che ha toccato la compagnia di navigazione Costa Crociere e il nostro paese tutto, ma non solo, dal momento che l’organizzazione coinvolta è parte della multinazionale americana Carnival, guidata dal CEO Micky Arison, e soprattutto che a bordo della nave naufragata vi era un equipaggio di lavoratori e passeggeri proveniente da numerose nazioni del mondo.
Molto – forse troppo – si è già detto su questa vicenda nelle prime ore e nei primi giorni dal disastro, e tanti ancora sono gli elementi che la Magistratura dovrà impegnarsi a chiarire prima di poter emettere un giudizio finale circa l’operato della Costa e dei soggetti più direttamente coinvolti, quali ad esempio il Comandante della nave affondata.
Con questo paper non desidero quindi esprimere un giudizio definitivo sull’accaduto, né tracciarne un bilancio esaustivo, ma al contrario dare un contributo al dibattito attualmente in corso e analizzare le informazioni attualmente disponibili per tentare di capire cosa, finora, è risultato essere parte di una strategia vincente per l’organizzazione, e cosa per contro appare come pregiudizievole alla corretta e completa comunicazione di questa crisi.
È bene evidenziare innanzitutto come sotto il profilo tecnico la gestione della crisi attuata dal management di Costa Crociere sia stata – e sia ancora mentre scriviamo, pur con un rischio di disastro ambientale sempre impellente e la presenza di 20 dispersi all’interno del relitto – molto intensa: la compagnia, preso atto del default iniziale, ha certamente messo l’interesse pubblico al primo posto, non limitandosi a prendere atto delle efficienti risorse professionali messe a disposizione dalla macchina dei soccorsi dello Stato, ma dispiegando complessivamente oltre 1.000 uomini a proprio libro paga per le operazioni di soccorso e per la ricerca dei dispersi, certamente partendo dal presupposto che mai come in questi casi l’interesse pubblico coincide esattamente con l’interesse dell’organizzazione, cioè salvare più vite umane possibile.
Costa Crociere ha collaborato in modo aperto e disponibile con le autorità e con gli stessi abitanti dell’Isola del Giglio, che hanno ospitato i naufraghi nel corso della prima notte. Anche la gestione dei superstiti a posteriori si è rilevata efficace: a parte qualche lamentela occasionale, i naufraghi sono stati in massima parte velocemente ed efficientemente riportati a casa, e nei giorni successivi sono continuate senza sosta le ricerche dei dispersi.
Un altro aspetto interessante è quella che non esiterei a definire una tra le poche sorprese positive delle quali la Costa Crociere ha potuto giovarsi nelle ultime difficilissime settimane: la partecipazione, la coesione e lo spirito di gruppo dimostrati dai propri dipendenti. Durante una situazione di grave crisi un’azienda può anche correre il rischio di sfaldarsi “dal suo interno”: la risposta dei lavoratori di Costa è stata propositiva e ha dimostrato come l’organizzazione sia al suo interno sana e coesa. L’appoggio dei dipendenti è d’importanza fondamentale per un’azienda in crisi: i dipendenti sono i primi ambasciatori della compagnia. Se si sentono abbandonati, i lavoratori possono reagire in modo sbagliato, come ha fatto un membro dell’equipaggio a poche ore dal naufragio, rilasciando di propria iniziativa dichiarazioni dai toni fortemente accesi e polemici nei confronti di chi in quelle ore stava valutando e criticando l’operato del personale di bordo (2). Sicuramente sono stati importanti gli interventi a difesa dell’equipaggio della nave Costa Concordia – nonché di coloro i quali hanno contribuito successivamente ai soccorsi – effettuati a più riprese dal Presidente Foschi, come ad esempio quello espresso durante la conferenza del 16 gennaio: “Tutti i nostri membri dell’equipaggio si sono comportati da eroi, tutti!” (3). Attraverso le parole del loro Presidente, i dipendenti dell’organizzazione si sono sentiti protetti e gratificati per il loro sforzo – e in alcuni casi per il proprio sacrificio umano – compiuto in quelle tragiche giornate, prova ne sia che i dipendenti stessi hanno risposto al loro Presidente attraverso un evento auto-organizzato a Genova, il 22 gennaio scorso, intitolato “L’equipaggio c’è!” (4), dichiarandosi pronti a superare la crisi e a dare il proprio contributo alla piena ripresa delle attività della compagnia.
Tuttavia, come vedremo – e documenteremo – non mancano criticità e zone d’ombra, in quello che certamente verrà ricordato insieme al dossier Thyssen Krupp come il più significativo caso di Crisis degli ultimi anni nel nostro paese.
Iniziamo con il ripercorrere sommariamente l’episodio (5) – già noto a tutti – e quanto è accaduto nelle concitate ore di quella tragica sera (6):
Costa Crociere si è trovata dinnanzi a una crisi improvvisa e grave: le cause dirette più facilmente identificabili sono probabilmente da ricercare nell’errore umano da parte del Comandante della nave Francesco Schettino, ma le responsabilità della compagnia non sono da sottovalutare.
La vicenda ha coinvolto e sta coinvolgendo non solo l’organizzazione, i suoi dipendenti e gli utenti, ma anche tutta la comunità dell’Isola del Giglio e potenzialmente – dato il rischio d’inquinamento ambientale – una consistente area della costa Tirrenica, per vasti tratti riserva marittima protetta. La copertura mediatica internazionale è stata costante.
Come in tutte le crisi, anche in questa si possono ritrovare molti degli elementi “tipici” che contraddistinguono le concitate ore di un disastro:
Occorre dire che l’origine di questa tragedia, ovvero l’impatto tra la nave Costa Concordia con degli scogli, è un evento a bassa probabilità ma ad altissimo impatto. Banale dirlo a posteriori, la risposta preventiva della compagnia a un evento probabilistico negativo come quello poi accaduto all’Isola del Giglio avrebbe dovuto essere quella della “preparazione”, ovvero del training e delle costanti e continue simulazioni di scenario da parte del Comandante, di tutto l’equipaggio e del personale a terra.
Alla base di questa tragedia non c’è solo un errore umano da parte del Comandante – evento statisticamente inevitabile – ma anche probabilmente un non ottimale set-up preventivo, forse – anche in presenza di consulenti di prim’ordine – a causa di una sottostima del rischio da parte dell’imprenditore, che non ha saputo attribuire la giusta importanza a questo genere di strumenti, propri del Crisis Management.
L’eventuale perfetta preparazione del personale di terra della Costa, addetto a coordinare l’emergenza, non attenua le eventuali responsabilità della compagnia in ordine allo scarso coordinamento “terra-nave”, dal momento che quest’ultimo flusso di lavoro e di comunicazione dovrebbe essere considerato parte integrante di una strategia di prevenzione e gestione della crisi.
Ma anche volendo evitare facili attribuzioni di responsabilità, soprattutto in assenza d’informazioni certe sul training preventivo interno programmato dalla compagnia e di verifiche accurate su quello poi realmente effettuato, dal momento che le due cose spesso non coincidono, che qualcosa non abbia funzionato alla perfezione è sotto gli occhi del mondo intero, a partire da una mancanza di ascolto dei segnali deboli, quali ad esempio l’approfondimento della pratica degli “inchini”, prassi pericolosa e non adeguatamente monitorata – se non tollerata o apertamente promossa, a detta di alcuni commentatori – da parte di Costa Crociere.
Inoltre, l’organizzazione ha dimostrato di non essere in possesso degli strumenti adeguati per evitare questo tipo di sciagure, quali ad esempio un sistema per mappatura gli scostamenti delle navi dalla rotta prevista, come ammesso direttamente dal presidente e AD Pier Luigi Foschi nel corso della conferenza stampa del 16 gennaio: “Noi non siamo in grado di valutare con esattezza né gli orari né la rotta che la nave ha tenuto nel momento precedente all’impatto con gli scogli” (9). Lo stesso Foschi afferma pochi giorni dopo, il 20 gennaio, in un’intervista al Corriere della Sera, che tra le lezioni da imparare occorre fare in modo di “…replicare a terra il sistema di suoni e segnali che vengono emessi sulla nave quando essa esce dalla rotta per poter conoscere in anticipo tali spostamenti”, confermando quindi la relativa impreparazione tecnica della compagnia in termini di risk management (10).
Oltre a quanto sopra illustrato – e riconoscendo comunque alla compagnia un’assoluta tempestività nell’attivazione delle procedure di comunicazione di crisi, in quanto i comunicati stampa sono stati frequenti ed esaustivi – proviamo qui di seguito ad approfondire alcuni temi cruciali al centro della vicenda:
Ma a prescindere dall’esito di queste pur importanti verifiche, il “braccio di ferro” tra il Comandante della nave e la direzione della Costa Crociere sta incrinando ulteriormente la reputazione di entrambi i soggetti, già seriamente colpita: foss’anche Schettino completamente nel torto e per nulla genuino della Sua propria difesa, risulterebbe a maggior ragione indiscutibile la grave responsabilità di Costa Crociere nella selezione, formazione e controllo di una figura di vertice come quella di un Comandante di una nave da crociera con oltre 4.000 passeggeri a bordo. Schettino infatti lavorava da quasi sette anni per Costa Crociere: le Sue lacune sono quelle della compagnia che aveva l’obbligo di monitorarne periodicamente l’attitudine al comando.
Il Procuratore Deidda chiama in causa l’organizzazione anche per quel che riguarda l’organizzazione della sicurezza e le problematiche incontrate nel corso dell’evacuazione della nave: “Scialuppe che non scendono, personale che non sa cosa fare, scarsa preparazione a gestire l’emergenza, ordini maldestri come quello assurdo di tornare nelle cabine. La confusione che c’è stata rivela un’incredibile trascuratezza nell’applicazione delle norme di sicurezza. Invece questo settore va organizzato prima con esercitazioni e simulazioni, e l’emergenza gestita dopo” (17).
Pur tuttavia, il focus di questo paper non è certamente sull’efficienza delle procedure di sgombero della Concordia, vera e propria città galleggiante, non certamente semplici, né sull’impegno personale indubbiamente profuso da buona parte dell’equipaggio, ancorchè forse non impeccabilmente preparato, bensì sulla discrasia esistente tra “verità dei fatti” – riportati da Deidda e soprattutto da non pochi passeggeri intervistati e “comunicazione dei fatti” a cura della Costa Crociere: tanto più i due piani si allontanano, tanto più vi è un problema di autenticità nella comunicazione, perchè – come autorevolmente ricordato in più occasioni da Luigi Norsa, “decano” della Comunicazione di crisi in Italia – “l’organizzazione deve sempre comunicare con trasparenza e sincerità”.
Ci sono altri aspetti non marginali da esaminare, sempre nell’ambito del Crisis management. Nelle prime 24 ore, le più importanti in una gestione di crisi, l’organizzazione non è riuscita a dirigere la gestione e la comunicazione di crisi entro dei binari ad essa stessa favorevoli. Il management di Costa Crociere non ha saputo prendere con immediatezza una posizione chiara sui fatti, ne è riuscito a centralizzare con efficacia il flusso delle informazioni, lasciando così che “molte versioni differenti dei fatti” emergessero all’attenzione dell’opinione pubblica prima che l’azienda prendesse di volta in volta una posizione ufficiale al riguardo. Anche nei giorni immediatamente seguenti, l’organizzazione non è sembrata in grado di rilasciare risposte univoche, che il pubblico peraltro richiedeva a gran voce, nascondendosi troppo spesso dietro frasi del tipo “c’è un’indagine della magistratura in corso”. Costa ha manifestato timore a rispondere “in diretta”, e in un certo qual modo ha perso la chance preziosa di essere ascoltata e di diventare il punto di riferimento unico e autorevole per le comunicazioni sulla tragedia. L’azienda è sembrata costretta a “rincorrere le notizie” e gli sviluppi della situazione, e si è trovata a dover “rettificare notizie”, piuttosto che a darle in prima persona.
Com’è noto, quando scoppia una crisi, tutti gli interlocutori esterni all’azienda parlano senza alcun controllo, e riempiono il vuoto conoscitivo con le più disparate notizie su quanto è avvenuto, a volte prive di genuinità, e come ha detto Gianluca Comin “…agli errori delle prime 24 ore non si ripara, al massimo si riduce l’impatto negativo” (18). In questo senso, Costa Crociere ha fatto un errore simile a quello del comandante Schettino, che ha ordinato l’evacuazione quando la nave era già inclinata: l’organizzazione ha perso tempo prezioso con una comunicazione inizialmente non del tutto coordinata, e ha poi faticato non poco per ristabilire i giusti toni e i giusti flussi comunicativi. La compagnia ha avuto in una certa misura paura di esporsi, lasciando ad altri il privilegio di saziare la fame di notizie che una situazione di crisi crea sempre nel pubblico. In questo modo, ha perso un’occasione preziosa per fare di un’emergenza grave l’opportunità di dimostrare la propria eccellenza nel settore: l’enorme risonanza internazionale dell’evento poteva essere – se correttamente governata – un’occasione per dimostrare quanto l’organizzazione fosse all’avanguardia nella gestione delle procedure di sicurezza e della comunicazione di crisi. Così certamente non è stato.
Non può inoltre essere trascurato nella fase di prevenzione di scenario il fatto che in situazioni di tale sovraesposizione mediatica ci sono sempre elementi pronti a cercare di avvantaggiarsi delle circostanze, come conferma la vicenda delle accuse per i presunti “clandestini” a bordo (19), poi smentita, o della proposta avanzata dalla compagnia ad alcuni dei passeggeri naufragati all’Isola del Giglio, i quali avrebbero ricevuto uno sconto del 30% sulla prossima crociera che desiderassero effettuare con Costa Crociere, notizia anche questa rivelatasi poi priva di fondamento. Pur tuttavia – ed è un altro indicatore di scarsa capacità di gestione dei flussi informativi – la compagnia si è fatta percepire come “impreparata” a monitorare i buzz del web, al punto che ad esempio in relazione a quest’ultima accusa ha risposto sul proprio blog solo 3 giorni dopo la messa in circolazione delle prime accuse (20).
Un altro aspetto importante nel crisis management e nella crisis communication è la capacità dell’organizzazione di assumere impegni chiari e di mantenerli, rendicontando a stretto giro ai propri stakeholder. Nel corso della conferenza stampa del 16 gennaio, l’AD Foschi aveva chiaramente espresso quali fossero le tre principali preoccupazioni dell’organizzazione: assistere gli ospiti, tutelare l’ambiente, rimuovere il relitto. A tre settimane dalla tragedia, Costa invece non è stata ancora in grado di dare certezze tali da permettere di scongiurare la minaccia ambientale, e neppure di ritrovare tutti i dispersi, mentre la sua nave giace ancora riversa accanto all’Isola del Giglio. L’organizzazione non ha quindi potuto sfruttare la forte copertura mediatica di questo periodo per promuovere perlomeno l’avvio della “fase recovery”, ovvero quella di recupero dalla crisi, che appare nel tempo ancora lontana.
Come ho segnalato in apertura di quest’articolo di approfondimento, allo scoppio della crisi Costa Crociere ha comunicato velocemente attraverso i propri canali: la prima nota ufficiale di Costa Crociere é dell´una e dieci di notte, sicuramente tempestiva. Sono seguiti altri comunicati: alle 05.23, 15.21 e 18.18 del 14 gennaio, il 15 gennaio alle 20.33 e infine la conferenza stampa del 16 mattina. Inoltre, nel corso della stessa notte della tragedia, la compagnia ha aggiornato due volte la propria pagina Facebook, alle ore 01.22 e alle ore 5.34.
In seguito però – e fino ad oggi – l’azienda ha commesso l’errore di standardizzare tutte le comunicazioni – comunicati stampa trasmessi a mezzo email, sito, blog, pagina Facebook – ripetendo su ogni piattaforma gli stessi identici messaggi. In questo modo ha perso un’altra interessante possibilità: quella di poter sfruttare le caratteristiche di ogni strumento di comunicazione, rinunciando a creare un “coro melodico” e preferendo invece un “monotono assolo”. Se da un lato si può capire l’iniziale timore nel diversificare la comunicazione, esponendosi al rischio di qualche sbavatura, dall’altro non si capisce perché ancora oggi – a due settimane dalle tragedia – nulla al riguardo sia cambiato: un utilizzo più opportuno e consono della pluralità di mass-media a disposizione avrebbe permesso di creare un legame diretto e più “caldo” con il pubblico, circostanza che risulta ancora più evidente se consideriamo le migliaia di commenti scritti sulla pagina Facebook di Costa Crociere, molti dei quali sono di sostegno e “affetto” nei confronti dell’organizzazione, risorsa questa in buona parte inutilizzata dalla compagnia e che avrebbe invece potuto costituire un effetto rebound positivo ancora maggiore.
Altra mancanza evidente, l’assenza di uno spazio web espressamente dedicato alla tragedia, sicuramente essenziale per un’organizzazione delle dimensioni di Costa Crociere, che avrebbe permesso di separare da un punto di vista comunicativo la gestione di crisi dalla normale attività della compagnia, che è comunque giustamente proseguita in questi giorni con altre navi in mare. Costa Crociere ha invece preferito inserire una semplice “finestra” sul proprio sito istituzionale, per reindirizzare gli utenti alle informazioni sulla tragedia: informazioni per altro molto scarse, quelle pubblicate on-line, che ad oggi si limitano ai video della conferenza del 16 gennaio e all’elenco dei comunicati emessi dal giorno del naufragio, senza alcuna possibilità di interagire con la compagnia se non attraverso un recapito telefonico. La possibilità di usufruire di un sito dedicato – preferibilmente “listando a lutto” quello istituzionale della compagnia, sarebbe stata ancor più utile alla luce del fatto che quest’ultimo è andato in tilt per più di 24 ore, ad ulteriore dimostrazione della scarsa programmazione preventiva e dell’assenza di “stress-test” effettuati sui server della compagnia, costringendo gli utenti interessati a visitare il blog o la pagina Facebook, o – peggio – a cercare altre fonti di informazione, contribuendo a far perdere all’organizzazione la possibilità di mantenere la propria autorevolezza di fonte principale per i release delle comunicazioni. L’esperto di strategie web Stefano Ferranti ci conferma che il default del sito sarebbe stato evitabile mediante un accurato progetto di prevenzione basato sulla gestione attenta dei “DNS” (Domain Name Server) e sulla predisposizione di una serie di server alternativi e gemelli sui quali ridistribuire gli elevati carichi di chiamate che in situazioni di crisi pervengono al sito web dell’azienda, interrogandolo e sovraccaricandolo. Questi accorgimenti sono tra i “basic” del Crisis management.
Come ha ricordato la collega Mariella Governo in un suo recente post sul sito internet Ferpi.it, un ulteriore grave errore dal punto di vista della comunicazione di crisi è stata anche la quasi totale mancanza di visibilità dei top-manager di Costa Crociere all’Isola del Giglio: in una situazione di crisi e di rischio, la presenza “fisica” del responsabile dell’organizzazione nel luogo della tragedia comunica – anche senza bisogno di troppe parole – l’interessamento concreto da parte dell’azienda. L’immagine dell’AD Foschi avrebbe dovuto sostituire nell’immaginario collettivo quella della nave riversa sul fianco: invece il presidente di Costa si è fatto vedere molto poco, limitandosi a dichiarazioni non esaustive (21), dichiarazioni che rivelano peraltro come la gestione della crisi sia rapidamente caduta in mano agli esperti legali, che spesso sono ben poco formati sulla gestione reputazionale delle organizzazioni, a tutto discapito dei comunicatori, circostanza che appare confermata anche dal tono di altre dichiarazioni dei vertici dell’organizzazione, come “Ci siamo costituiti parte offesa” (22) o ancora “In questo momento l’azienda è parte lesa” (23). Singolarissima poi a tal proposito la decisione – probabilmente suggerita proprio dai legali – di non ricevere una giornalista della BBC (24). La notizia della scelta di estromettere gli esperti di comunicazione dal Crisis team è comunque immediatamente “decollata” sul web in una chiave di lettura negativa (25), generando ulteriori dubbi e timori, ed è apparsa comunque – ad di là delle valutazioni di merito – come un’ulteriore conferma di una gestione per certi versi “schizofrenica” della crisi stessa, e quindi, inevitabilmente, di una preparazione preventiva non del tutto adeguata alla gravità dell’accaduto. È curioso peraltro leggere tra i commenti della pagina Facebook di Costa Crociere di come siano stati addirittura gli stessi clienti più affezionati della compagnia a chiedere all’organizzazione una comunicazione più efficace: “Anche a me dispiace sentire affermazioni infamanti sul vostro conto. Voglio sentire anche la vostra voce!” (26).
In conclusione, è troppo presto per dire quali possano essere le conseguenze a medio-lungo termine di una tragedia dalle proporzioni così significative, e se Costa Crociere rientrerà in quelle che la ricercatrice inglese Deborah Pretty, della Oxford University, definisce “aziende recoverers”, ovvero quelle organizzazioni che nel breve termine – segnatamente i primi cinque giorni – perdono circa l’8% del loro valore azionario, nel medio termine – circa 30-50 giorni dopo l’evento – riescono a recuperare la quota che avevano precedentemente, e nel lungo termine migliorano addirittura le proprie performance, cosa che certamente auguro ai vertici della compagnia e agli azionisti. In realtà, la vera spada di Damocle che ora pende sulla compagnia è quella del disastro ambientale, in grado di generare ulteriori ingenti richieste danni e recare un grave pregiudizio alla business continuity dell’organizzazione, con effetti ulteriormente pregiudizievoli anche dal punto di vista mass-mediatico.
Quello che è certo, è che questa disgrazia impone un serio ripensamento alle procedure di sicurezza e di gestione delle emergenze di tutta l’industria crocieristica nazionale, e forse non solo, che dovrà rafforzare i controlli e rivedere i propri standard di sicurezza e di formazione e verifica del personale di comando. Sicuramente il naufragio della Costa Concordia ha ricordato a tutti come il trasporto di persone resta un’attività con dei rischi ad altissimo impatto, e come la possibilità di un errore umano resti una variabile difficilmente controllabile e che non dovrebbe mai essere sottostimata. Anche la componente emotiva del panico durante la gestione di una crisi riguardante in contemporanea un così alto numero di persone e un così elevato numero di fattori – emotività mai elidibile completamente – è un elemento che occorrerà ripesare, alla luce di quanto avvenuto.
Il mio desiderio – al di la delle inevitabili discussioni tra colleghi su “cosa si sarebbe potuto fare di più e meglio”, sempre fin troppo facili a posteriori – è solo quello di dare un contributo alla riflessione generale, nella speranza che tragedie come questa non si verifichino mai più.
Le ultime parole di questo articolo vanno quindi da parte mia alla memoria di coloro che sono deceduti in questo incidente, con il rispetto dovuto all’immenso dolore dei loro familiari, compagni ed amici.
Per un’ulteriore analisi sul caso Costa Crociere a firma del collega ed esperto di Crisis Management Patrick Trancu, visita il suo blog.
NOTE:
(1) Giornalista, consulente in strategie di comunicazione, socio Professionista FERPI, e co-autore – tra le altre pubblicazioni – del volume “Crisis Management: la guida del Sole 24 Ore alla Comunicazione di Crisi”, Ed. Il Sole 24 Ore, gennaio 2011 – pagina Facebook: http://www.facebook.com/pages/Crisis-Management-la-guida-del-Sole-24-Ore/168748776564072 (si ringrazia Enrico Finucci per l’indispensabile e qualificata collaborazione alla stesura di questo paper) 2() http://blog.panorama.it/italia/2012/01/17/costa-concordia-abbiamo-gestito-un-branco-di-pecoroni-allo-sbaraglio-il-commento-di-un-membro-dello-staff/ (3) http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/01/16/AP2WZ5gB-naufragio_della_spiegazioni.shtml (4) http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/01/22/APjhecjB-giallo_schettino_piazza.shtml(5) le notizie riportate nella cronologia dell’articolo non possono ancora contare su conferme definitive, in quanto non sono ancora state rese pubbliche le trascrizioni della “scatola nera” ne risultano disponibili registrazioni complete di tutte le telefonate intercorse tra i protagonisti della vicenda, e sono quindi da ritenersi parziali e in alcuni casi da confermare.