image_pdfVersione PDFimage_printStampa

La generazione dei nati tra il 1995 e il 2010 già vale un terzo del mercato del lusso. Il direttore del Polimoda: “Questi giovani hanno il potere di condizionare la moda del futuro”

Hanno il potere di mettere in crisi la moda per i prossimi decenni: sono i ragazzi della Generazione Z, quelli nati tra il 1995 e il 2010. Sono i primi veri nativi digitali, non ricordano il mondo senza Internet e computer e sono un vero grattacapo per gli stilisti. Hanno gusti e preferenze ben definiti: per scoprirli il New York Times ha chiesto a tre giovanissimi di mostrargli i loro acquisti. La conclusione? L’apparenza batte la qualità: la Generazione Z, secondo il giornale americano, predilige “outfit carini e poco costosi, purché sembrino belli su Instagram”. “Questi ragazzi non condizioneranno la moda in futuro, lo fanno già”, spiega ad HuffPost il direttore di Polimoda Danilo Venturi.

“Per ogni Greta Thunberg o studente che salta la scuola per unirsi alle proteste per il clima, c’è un altro membro della Generazione Z che compra vestiti poco costosi con il suo smartphone – si legge sul NYT -. Le scelte di acquisto, alimentate dalla cultura degli influencer e soddisfatte da una nuova ondata di brand ultra fast fashion, come Fashion Nova, Pretty Little Thing e Missguided (quest’ultimo responsabile di un bikini venduto a una sola sterlina, che ha registrato il tutto esaurito in Gran Bretagna), si basano più su come un determinato outfit possa apparire sui social piuttosto che nel mondo reale”.L’HUFFPOSTRicevi le storie e i migliori blog sul tuo indirizzo email, ogni giorno. La newsletter offre contenuti e pubblicità personalizzati.Sottoscritto!Grazie per aver effettuato l’iscrizione! A breve riceverai una mail di conferma.

Lo dimostra l’inglese Mia Grantham, 16 anni: la giovane ha confessato al NYT di non avere alcuna intenzione di indossare lo stesso vestito due volte: da qualche tempo ha iniziato ad avere un piccolo seguito su Instagram e non vuole in alcun modo deludere i suoi followers. Le piace indossare abiti rossi: ne ha almeno 14 diversi. Si addormenta facendo lo scrolling delle pagine dedicate allo shopping, che consulta per almeno 10 o 15 minuti alla fine della giornata. Ha sottoscritto un abbonamento annuale tramite l’applicazione del suo brand preferito, Pretty Little Things, che le permette di ricevere i vestiti il giorno dopo l’ordine. “Quanti capi credi di aver acquistato nel 2019?”, alla domanda del NYT risponde: “Un centinaio”.

Ma quando un vestito può dirsi “vecchio”? La giovane Grantham non ha dubbi: se è un paio di jeans che indossiamo a casa possiamo tenerlo anche per sempre, se è un vestito col quale intendiamo uscire e farci vedere dagli altri dopo due volte è già da buttare. E se il ricambio è così frequente, quanto è disposta a spendere la sedicenne per i suoi capi? “Ovviamente – dice al NYT – cerco di spendere il meno possibile”.

La storia di Mia Grantham non è isolata, ma è lo specchio di come alcuni giovani della Gen Z concepiscano lo stile. Il loro occhio è sempre puntato verso i social network, il vero palcoscenico sul quale i vestiti indossati fanno il loro debutto: “Scatto dei selfie ogni volta che esco, nella mia camera da letto e poi con i miei amici o il mio ragazzo”, dice la giovane. Ammette di non pensare mai alla fine che faranno quegli abiti una volta buttati via, ma afferma di conoscere il fenomeno della moda sostenibile: “So che diversi brand stanno creando dei capi sostenibili. Molti sono simili a quelli della collezione classica, ma costano di più. Se devo essere onesta, penso: ‘Perché dovrei pagare di più, quando posso avere la stessa cosa a meno?’”.

Se la Generazione Z detta la moda, i brand obbediscono

Secondo uno studio di Bain&Co, le nuove generazioni, la Y (quelli nati tra il 1980 e il 1995) e la Z, già valgono un terzo del mercato del lusso e guideranno la crescita del mercato fino ad arrivare a coprire nel 2035 l’80% dei consumi. Impossibile, dunque, non prenderli in considerazione. Così la pensa il direttore del Polimoda, Danilo Venturi che ad HuffPost spiega: “La Generazione Z non condizionerà la moda, lo fa già. Questi ragazzi vivono in un mondo privo di limiti spazio/temporali che produce in loro valori e comportamenti in favore dell’uguaglianza di razza, cultura e orientamento sessuale, dall’altra parte però genera anche un senso di inquietudine e a tratti di vera e propria depressione. Alcuni brand si sono accorti di questo mutamento radicale ed hanno adeguato le loro best practice, altri usano temi come la sostenibilità semplicemente per fare marketing, altri ancora non si sono accorti di nulla. In Polimoda queste tendenze prendono forma quotidianamente grazie alla presenza di 2300 studenti provenienti da 70 diverse nazioni, un laboratorio di idee a completa disposizione di aziende, istituzioni e di chiunque voglia produrre progresso, a patto che ciò a avvenga a favore e insieme agli studenti stessi”.

La Generazione Z rivoluzionerà il modo di fare shopping

A mano a mano che cresceranno, i membri della Gen Z cambieranno il loro modo di fare shopping: secondo Federica Levato, analista di Bain, questi giovani non saranno affatto frivoli nei consumi. Se è vero che da una parte è forte la tentazione rappresentata dal fast fashion, dall’altra è plausibile che, avendo assistito all’instabilità economica vissuta dai millennials che lavorano, i membri della Gen Z facciano acquisti più ragionati, intelligenti e che possano durare nel tempo. Inoltre, essendo nativi digitali, hanno un utilizzo più equilibrato dello smartphone e hanno rivalutato il ruolo del prodotto e del negozio fisico. Daranno importanza all’economia circolare, all’ambiente, alla sostenibilità e chiederanno ai brand un impegno culturale e calato nello spirito del tempo. In conclusione, secondo la Levato, quello che vogliono è un prodotto “eccellente ma anche buono, secondo logiche etiche e responsabili”.

image_pdfVersione PDFimage_printStampa