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Dopo un intenso periodo di dibattito e confronto, durato svariati mesi, ha visto la luce il Codice di Autoregolamentazione per la gestione etica della Reputazione nella professione dei relatori pubblici e dei comunicatori, grazie all’appassionato lavoro di un gruppo di colleghi professionisti che ho avuto il piacere e l’onore di coordinare, affiancati da alcuni talenti di eccezione esterni alla Federazione, che hanno prestato le loro competenze al progetto[1].

Che un’organizzazione sia un insieme di sistemi di relazione, che interagisce in continuazione con altri sistemi di relazione, è fuori discussione, anche senza scomodare Lofti Zadeth e la sua teoria fuzzy degli insiemi sfumati: come spieghiamo nel Codice, la forza di questa sintesi si verifica nella solidità di un modello teorico che porta a valutare la performance delle organizzazioni non solo in termini economico-finanziari, ma, soprattutto, di fatto, relazionali; e la qualità delle relazioni si misura – anche – mediante la loro reputazione.

Contare su una buona reputazione costituisce infatti la leva più significativa per ampliare la propria licenza di operare, licenza che è frutto di un processo di continua negoziazione tra un’organizzazione e i suoi pubblici influenti, da rinnovare continuamente, e del quali i relatori pubblici sono per certi versi i sacerdoti, amministratori consapevoli di una liturgia che perimetra e definisce la cornice di senso nella quale le organizzazioni economiche si muovono per attuare la propria mission e raggiungere i loro obiettivi di business e sociali.

La letteratura scientifica – diverse referenze sono citate in calce al Codice stesso – conferma oltre ogni ragionevole dubbio che la reputazione è uno dei maggiori vantaggi competitivi di cui un’organizzazione possa disporre, nonché il più importante dei suoi asset intangibili: orienta i comportamenti di acquisto, e quindi genera – o meno – denaro. E come tutto ciò che è generatore di valore, diventa sempre più oggetto di attenzione e – in alcuni casi, purtroppo – di manipolazione.

Se un tempo i rischi principali per la reputazione di un’organizzazione erano rappresentati, entro una certa misura, dall’organizzazione stessa, ovvero dalla sua capacità o meno di gestire la coerenza tra intenzioni e comportamenti, oggi occorre prender atto di come l’arena della comunicazione sia diventata infinitamente più complessa e insidiosa: agenzie e aziende sempre più spregiudicate, così come liberi professionisti di dubbia integrità, forniscono servizi di vera e propria costruzione ad hoc della reputazione, anche tramite la diffusione ad arte di fake news, o la generazione di fake consensus in rete tramite bot e fake account, per influenzare non solo gli stakeholder, ma soprattutto gli algoritmi che regolano i meccanismi di visibilità nelle varie piattaforme Social e nei principali motori di ricerca.

Ancor più grave, come abbiamo sottolineato nel Codice di Autoregolamentazione, è registrare come quelle stesse agenzie non esitino ad aggredire e distruggere la reputazione di eventuali realtà competitor o comunque sgradite ai propri assistiti, attraverso articolate operazioni informatiche di data forging o data deletion, volte ad alterare le informazioni relative all’organizzazione target, operazioni queste che molto spesso infrangono la legge, prima ancora che i fondamenti etici e deontologici su cui dovrebbe basarsi la nostra professione.

Per questi motivi, è imperativo che i professionisti delle relazioni pubbliche rinnovino l’intenzione e la volontà di agire – nella professione e nel rapporto con i propri mandanti e con gli altri stakeholder di volta in volta coinvolti – con integrità, trasparenza e responsabilità. Ma realmente, non solo a parole.

Perché in presenza di manipolazione, crolla la fiducia; e la costruzione di rapporti basati sulla fiducia appare come un elemento fondamentale per garantire il buon funzionamento delle istituzioni democratiche, per la competitività del sistema economico e per la coesione del tessuto sociale, nonché la precondizione per un’efficace azione di sistema, come ben sottolineato anche dalla Partnership for the Goals – SDG 17 Agenda 2030 dell’ONU.

Da tutto ciò deriva che ogni azione volta a compromettere o alterare in modo non genuino la reputazione, di un’organizzazione quanto di un personaggio pubblico, è tanto più grave nella misura in cui rischia di minare, in modo spesso irrimediabile, il rapporto di fiducia costruito – appunto – con i vari pubblici, con conseguenze a catena spesso catastrofiche, come distruzione di valore, pregiudizio alla business continuity, e, nei casi più gravi, il fallimento di un’azienda o anche il tracollo di un governo regolarmente eletto.

Con questo Codice di Autoregolamentazione, FERPI ha l’ambizione di influenzare virtuosamente non solo i comportamenti e le pratiche degli addetti ai lavori, sollecitandoli a rifiutare di collaborare con clienti che richiedono l’attuazione di pratiche manipolative o ingannevoli a danni di terzi, circostanza purtroppo ben più frequente di quanto si possa pensare, ma anche di elevare il livello di consapevolezza e di responsabilità delle stesse organizzazioni e dei centri di influenza che a noi professionisti si rivolgono per meglio governare i propri sistemi di relazione.

Ammonizione scritta, sospensione temporanea o nei casi più gravi espulsione dall’associazione professionale, sono le sanzioni previste per chi sarà sorpreso a violare le norme del Codice di Autoregolamentazione; che si presenta – vorrei sottolinearlo – come un progetto aperto al dibattito e confronto con altre associazioni di categoria e gruppi di interesse, che auspicabilmente – immaginiamo – amerebbero anch esse garantire che le pratiche professionali nel settore delle relazioni pubbliche e più in generale della comunicazione siano etiche e orientate alla verità e al rispetto dei diritti e degli interessi di tutti i soggetti coinvolti.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: chi raccoglierà la sfida e giocherà la partita da protagonista, e chi invece manterrà un basso profilo sfuggendo al confronto e alla richiesta di ingaggio?

Codice di Autoregolamentazione per la gestione etica della Reputazione nella professione dei relatori pubblici e dei comunicatori


[1] Il documento è stato redatto nel corso dell’anno 2024/25 da un gruppo di lavoro composto dai soci FERPI (in ordine alfabetico per cognome): Ezio Bertino, Daniele Chieffi, Antonio Deruda, Giorgia Grandoni, Biagio Oppi, Luca Poma, Maurizio Ravidà, Cristiana Rogate, Francesco Rotolo, Giampiero Vecchiato e Fabio Ventoruzzo, con la preziosa collaborazione esterna di Giovanna Cosenza (Professore di Semiotica all’Università di Bologna), Alberto Pirni (Professore di Filosofia Morale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) e Nicola Menardo (Avvocato, già Studio Grande Stevens, oggi Studio Weigmann) per la verifica di conformità giuridica. Il gruppo di lavoro è stato coordinato dal socio FERPI Luca Poma. Il Codice è stato redatto attenendosi ai criteri Rough Consensus – Consenso a grandi linee (fonti: DIB – Defence Innovation Board, Comitato misto pubblico/privato del governo USA, e IETF – Internet Engineering Task Force)

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