I treni di notte. Avevano nomi romantici e ottimisti, da anni del boom: la freccia del Sud, il treno del Sole, dell’Etna…Treni di notte non ne passeranno più. Scompariranno – o forse si trasformeranno in qualcos’altro – come carrozze di Cenerentola. In futuro sulle rotaie, dopo la mezzanotte, viaggeranno soltanto merci, non più persone addormentate. Non è una notizia. L’11 dicembre Trenitalia ha presentato il nuovo orario e c’erano cento carrozze di meno. “Abbiamo incominciato ad accorgercene nel 2009, tre anni fa”, mi raccontano. “I vagoni-letto che si rompevano non erano più sostituiti e i treni diventavano sempre più corti. Nel 2010 l’Espresso Notte 1910 Milano-Napoli era lungo soltanto 6 carrozze invece di 12”. La fine di cuccette e vagoni-letto rappresenta la scomparsa dell’utilizzo del tempo del sonno per spostarsi. Oggi si viaggia di giorno perché anche in viaggio si può lavorare. I treni notturni sono un ambiente saccheggiato da letteratura e cinema dove si sono mossi poveri e ricchi. Di notte, sui treni, Hercule Poirot ha risolto omicidi, grazie a Hitchcock la signora è scomparsa e il treno di Cary Grant e Eva Marie Saint è entrato in galleria. Totò ha litigato con un onorevole. Ma è molto di più. I treni di notte hanno cucito l’Italia ogni settimana, anno dopo anno, per mezzo secolo, trasportando milioni di esseri umani dalle case del sud dove erano nati alle città del nord dove avevano trovato lavoro. Era un “servizio universale”, garantito a tutti, comunque, perché di pubblica utilità, quasi indipendente dai risultati economici. Trenitalia pare abbia deciso di abolirlo. Gli utenti sono in diminuzione, sostengono. Ma dal 2004 al 2011 sono stati quasi 12 milioni. Erano i treni dei poveri, ma un biglietto di seconda in Freccia rossa può costare il doppio. Al vantaggio dell’abolizione di una spesa improduttiva si aggiunge l’eliminazione di un concorrente. Avevano scelto nomi romantici e ottimisti, da anni del boom: il treno del Sole, la freccia della Laguna e del Sud, il treno dell’Etna. La gente ci invecchiava sopra, settimana dopo settimana, estate dopo estate. Ci sudava, mangiava, parlava e dormiva. Alcuni li hanno usati per studiare e migliorare la propria condizione. Scrisse Gafyn Llawgoch, l’anarchico gallese: “Il treno è l’unico posto al mondo dove un povero può sedersi per parlare e pensare. È l’unico posto in cui può fare il borghese”. Cucivano le classi anche per un’altra ragione, i treni di notte. Perché niente emoziona come la visione di un interno illuminato. Non importa se sta fermo o si muove, se è una casa intravista da un treno oppure il vagone di un treno osservato da casa. L’apparizione pubblica di uno spazio privato, dà un senso di distanza e calore, di nostalgia per la vita calma degli altri. Per decenni, in Italia, questo sguardo reciproco è stato scambiato ogni notte, ovunque un treno passasse vicino a una casa. Ed è stato sempre il riconoscimento di una differenza, ma anche di una somiglianza tra umani, mobili o stanziali che fossero, tra residenti o emigranti. La notte tra il 7 e l’8 dicembre – tra Sant’Ambrogio e l’Immacolata – pochi giorni prima che Treniitalia varasse il nuovo orario, alcuni uomini si sono arrampicati sulla prima Torre Faro che si incontra lungo il binario 21 della Stazione centrale di Milano. È un traliccio alto 50 metri che serve per l’illuminazione dei binari. Vivono lì, al freddo, da allora, in pochi metri quadrati, per protesta. Ogni tanto si danno il cambio. Alla base altri lavoratori hanno costruito una tenda con cucina per garantire a chi sta in cima cibo, acqua e corrente. Da quel giorno sono passati più di 150 giorni. Loro tanno ancora là, come baroni rampanti ferroviari. E i treni, quando passano, li salutano fischiando.