Pregiudizi, fatti sostituiti con impressioni, logiche perfettibili. Quello dei bias cognitivi è un campo vasto, queste “défaillance di pensiero” vengono usate dalla nostra mente per non fare fatica e, basate su percezioni imprecise e pregiudizi (anche ideologici) ci pongono fuori dal giudizio critico. Il marketing ne fa incetta per spingerci a comprare, i movimenti che raccolgono accoliti vi fanno leva per rastrellare seguaci e, come dimostriamo qui, i bias cognitivi rischiano di fare incarcerare innocenti.
Gli psicologi israeliani Daniel Kahneman e Amos Tversky, già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, hanno studiato a fondo le modalità con cui l’essere umano prende decisioni. Il loro lavoro, che ha contribuito a divulgare il concetto di bias cognitivo (se ne contano oltre 100) è stato tuttavia basato su ricerche meno ampie svolte da diversi altri specialisti negli anni precedenti.
Perché sono insidiosi
Iterando gli errori imposti dai bias cognitivi, si rischia di cadere in una forma di pensiero disfunzionale che conduce alla sofferenza emotiva.
Tra i diversi tipi di bias cognitivi c’è quello di conferma, individuato e teorizzato nei primi anni Cinquanta dallo psicologo americano Burrhus Frederic Skinner secondo il quale ognuno di noi tenderebbe ad allinearsi a quelle persone o a quelle linee di pensiero che confermano le nostre opinioni, escludendo così ogni forma di contraddittorio. Così, per esempio, leggiamo soltanto libri o quotidiani che cementano le nostre convinzioni.
Il bias di gruppo, molto simile a quello di conferma, induce a sovrastimare le capacità del gruppo di cui si fa parte, adducendo a fattori esterni i successi ottenuti da gruppi antagonisti i quali non si riconosce un merito proprio.
A seguire, tra i bias più frequenti, c’è quello di ancoraggio. Quando dobbiamo fare una scelta ci basiamo su fattori ed elementi che riteniamo essere ottimi per fare paragoni e che, in realtà, non soltanto non sono tali ma ci impediscono di vedere un aspetto nel suo insieme.
Questo tipo di bias è molto usato nelle vendite: quando si compra uno smartphone da 1.200 euro appare ragionevole comprare un accessorio da 150 euro, per esempio degli auricolari bluetooth. In realtà, con il prezzo dell’accessorio si può acquistare un cellulare di bassa gamma. Se acquistiamo una vettura da 100mila euro, spenderne 10mila in optional appare ragionevole e non è per forza detto che tali optional siano necessari.
Il pregiudizio sullo status quo (bias sullo status quo) è molto diffuso. La situazione attuale è ottimale, ogni modifica è considerata una regressione. Così non cambiamo operatore telefonico, magari a fronte di un’offerta per noi vantaggiosa, perché temiamo costi nascosti o tempi di attivazione lunghi.
E, semmai ci rendessimo conto di avere preso una decisione perfettibile, il bias di rinforzo delle scelte ci viene in soccorso, facendoci ricordare le scelte migliori di quello che sono state in realtà, mettendone in evidenza (e persino enfatizzando) i punti positivi e evitando di considerare quelli negativi.
Il pregiudizio e le sue conseguenze
I bias portano a fare scelte imprecise e non sono sempre scevri di conseguenze pesanti. Lo spiega l’avvocato Carlo Blengino in un articolo pubblicato a fine 2018 su Il Post, in cui parla della trascrizione di un’intercettazione ambientale, quindi la trascrizione di un file audio in cui si sentivano le parole “vi ho portati giù ora vi ammazzo”. Una frase che non avrebbe lasciato scampo all’imputato se non fosse che, in seguito a un ascolto più attento della stessa traccia audio, il risultato è apparso del tutto diverso: l’imputato ha detto “vi ho portati giù, ora calmatevi”. La pessima qualità dell’audio e il pregiudizio con cui questo è stato ascoltato, stavano portando le autorità a prendere un granchio.